La codificazione pio-benedettina del 1917

Al centro del capitolo II del nostro lavoro si pone l’analisi di un’altra tappa importante per la storia del sostentamento del clero, ossia la codificazione del 1917, che rappresentò certamente un’opera di grande rilevanza nella vita della Chiesa.

Tuttavia, in merito alla nostra materia, possiamo dire che il Codex Iuris Canonici del 1917 si limitò a codificare l’istituto beneficiale, il quale già presentava i segni di un forte logoramento, non essendo ormai più in grado di garantire a tutti i presbiteri i mezzi necessari al sostentamento.

Gran parte della dotazione patrimoniale ecclesiastica, infatti, fu depauperata a motivo di ripetute confische da parte degli Stati che, con l’emanazione di numerose leggi eversive, ne limitarono fortemente il libero utilizzo.

Nel libro III, De rebus, del CIC 17, al titolo XXV, de beneficiis, si tratta la materia oggetto del nostro studio dal canone 1409 al 1488.

Il canone 1409 definiva il beneficio come quell’ente giuridico eretto in perpetuo dall’autorità competente e costituito da due elementi: quello spirituale, cioè l’ufficio, e quello patrimoniale, cioè il diritto di percepire i redditi provenienti dalla dote annessa al beneficio.

Di notevole importanza era ritenuto dal Codice il fatto che la dote fosse stabilita e adeguata al perseguimento dei suoi fini istituzionali (cfr. canone 1415, § 1), perché solo così si poteva garantire il compimento dell’ufficio ed il sostentamento del titolare.

Dal punto di vista della dottrina canonistica, in merito al rapporto tra beneficiario e beneficio, vi é da sottolineare il riferimento alla figura giuridica dell’usufruttuario, che più si avvicinava a quella del beneficiario, poiché permetteva di distinguere meglio i rapporti tra l’ente e il titolare dell’ufficio.

Ciò che, però, assume maggior rilievo di novità è il presupposto dell’esistenza di un titolo canonico (cfr. canone 974), che il Codice del 1917 ribadiva come condizione per l’ordinazione lecita di un ministro sacro.

Ora, tra i vari titoli canonici, come quello di patrimonio o pensione, oppure quello suppletivo di servizio alla diocesi o alla missione (canone 981, soprattutto per le Chiese di recente fondazione), il Codice prediligeva il titolo di beneficio (cfr. canone 979), anche perché quest’ultimo, basandosi su uno stretto legame tra l’ufficio esercitato e la fonte di sostentamento, rendeva assai difficile ad un chierico il sottrarsi all’autorità del Vescovo.

Il canone 979 § 2, affidando alla discrezione dei Vescovi la valutazione di quanto concretamente bastasse per il dignitoso sostentamento del clero, affermava che il beneficio dovesse essere: «vere securus pro tota ordinati vita et vere sufficiens ad congruam eiusdem sustentationem».

I limiti del sistema beneficiale, quali l’impossibilità di un’equa retribuzione dei presbiteri a motivo della presenza di masse patrimoniali territorialmente distribuite in modo difforme, per cui ciascun beneficio produceva redditi assai diversi per misura e tipologia, risultavano però evidenti.

Inoltre, essendo la costituzione della dote assolutamente indipendente dalle esigenze di ordine pastorale, perché stabilmente assegnata ad un’autonoma persona giuridica, poteva accadere che si verificassero forti sperequazioni tra chi, non avendo gravi necessità, disponeva comunque di un cospicuo patrimonio e chi, dovendo far fronte ad ampi bisogni, era sprovvisto dell’indispensabile.

Quando poi succedeva – come nella maggior parte dei casi – che il reddito del beneficio fosse insufficiente ed inadeguato ad honestam sustentationem, il clero si trovava ad essere meno indipendente e più facilmente esposto all’influenza di chi poteva assicurare qualsiasi forma di remunerazione.

In Italia, ad esempio, l’istituto del supplemento di congrua erogato in forma integrativa dallo Stato, quale forma di riparazione per la confisca dei patrimoni ecclesiastici, si trasformò gradualmente in una sorta di stipendio statale.

Oltre a ciò, la titolarità dei compiti di amministrazione, attribuiti al beneficiario dal canone 1476 del Codice del 1917, gravavano il sacerdote di non poche preoccupazioni, che spesso risultavano a scapito della cura animarum.

Queste ed altre ragioni motivarono un profondo ripensamento sia dell’istituto beneficiale, sia di tutto ciò che concerneva il sostentamento del clero.

Al Concilio Vaticano II sarebbe spettato il delicato compito di affrontare in modo nuovo il tema del sostentamento del clero, indicando, più che le soluzioni tecniche di superamento del desueto sistema beneficiale, le linee portanti di una radicale riforma.

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