Le norme sul patronato

scritto da giovedì, Settembre 26, 2013 0 No tags Permalink 0

Le norme sul patronato

Per arginare la minaccia sempre insorgente di un’indebita ingerenza laica nella sfera spirituale, furono riprese anche le norme sul patronato. Il capitolo 9 del Decretum de reformatione generali della sessione XXV del Concilio propone quale criterio regolatore un’equa comparazione di interessi tra le pie volontà dei fedeli e le libertà della Chiesa. Così recita precisamente la norma: «sicuti legitima patronatum iura tollere piasque fidelium voluntates in eorum institutionem violare, aequum non est: sic etiam, ut hoc colore beneficia ecclesiastica in servitutem, quod a multis impudenter fit, redigantur, non est permittendum».

Il capitolo prosegue disciplinando numerosi aspetti dell’istituto: il diritto di patronato deve avere origine da un atto certo, una fondazione o dotazione comprovabili con documenti autentici o, in difetto, da consuetudini che superino la memoria d’uomo o da presentazioni di candidati ripetute ab immemorabili. I diritti di patronato per i quali non sussistano tali prove sono dichiarati dal Concilio totalmente abrogati e nulli; di conseguenza per i benefici interessati tornano in vigore le regole ordinarie circa la provvista canonica: «beneficiaque huiusmodi tamquam libera a suis collatoribus conferantur, ac provisiones huiusmodi plenum effectum consequantur»122.

Ai patroni, nel medesimo capitolo 9, viene comunque fatto divieto di interferire nella riscossione dei frutti, dei proventi e delle entrate di qualsiasi beneficio ed il loro stesso diritto di presentare all’autorità ecclesiastica competente un candidato per il conferimento dell’officium è, contro ogni abuso, dichiarato inalienabile ed intrasmissibile. Nonostante la presentazione del patrono, quando questo diritto sia legittimamente comprovato, resta sempre ferma per i vescovi la facoltà di respingere i candidati che manchino dei necessari requisiti di idoneità123.

La storia dei secoli che seguirono al Concilio di Trento è ricca di episodi in cui la Chiesa ha visto fortemente ridotta la propria autonomia ricevendo dal potere temporale non poche limitazioni. In età moderna il culmine è certamente rappresentato dai provvedimenti di confisca del patrimonio ecclesiastico, che furono ideologicamente chiamati atti di nazionalizzazione e che dalla Rivoluzione francese in poi divennero prassi abituale nella politica di molti Stati. Non bisogna però dimenticare che usurpazioni ed abusi hanno accompagnato da sempre la destinazione dei beni riservati al sostentamento del clero.

E’ indicativo notare che, forse per le sue caratteristiche intrinseche, il sistema beneficiale venne mantenuto dall’ordinamento canonico anche quando le legislazioni statali ne sopprimevano via via i presupposti di fatto, mediante la secolarizzazione dei beni e l’attribuzione ai ministri del culto di pensioni statali diversamente denominate. Tale questione, che fece da sfondo alla codificazione del 1917, verrà ripresa nel prossimo capitolo, che è interamente dedicato alla normativa del Codice Pio-Benedettino.

122 Conc. Tridentinum, sess. XXV, Decretum de reformatione generali, cap. 9, in COD, 789-790.

123 Cfr. Conc. Tridentinum, sess. XXV, Decretum de reformatione generali, cap. 9, in COD, 790.

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Per arginare la minaccia sempre insorgente di un’indebita ingerenza laica nella sfera spirituale, furono riprese anche le norme sul patronato.
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