Le ordinazioni ed il sostentamento dei chierici
Un’altra regola di grande importanza autorevolmente ribadita dal Concilio di Trento fu il divieto di ordinazioni sine titulo: oggetto della proibizione era la prassi di ordinare dei chierici senza verificare l’esistenza di un’adeguata garanzia di sostentamento per l’ordinando, di un beneficio o di altro titolo ritenuto congruo dal diritto.
Tale comportamento, stigmatizzato già dal Concilio di Calcedonia nel 451 con un espresso divieto112, aveva prodotto gravi disordini disciplinari nella vita della Chiesa, perché da un lato lasciava i chierici nell’incertezza circa il loro ufficio e per altro verso, non di rado, questi ministri del culto erano costretti a mendicare o a lavorare e vivere in condizioni indecorose.
La questione fu affrontata nella sessione XXI nel canone 2 del Decretum de reformatione, a partire dalla constatazione che in moltissimi luoghi i candidati venivano ammessi agli ordini sacri senza alcuna selezione e senza controllare che fossero dotati di sufficienti mezzi di sostentamento, il Concilio di Trento confermò il divieto di ordinare dei chierici sine titulo, ma nel contempo richiamò i canoni riguardanti gli altri titula ordinationis, che in via sussidiaria potevano sostituire il beneficio ecclesiastico e cioè il titulus patrimonii ed il titulus pensionis113.
Si noti in proposito che, per questi titoli sussidiari diversi dal beneficio, da parte dello stesso canone 2 del Decretum de reformatione della sessione XXI, si richiede al vescovo una verifica ulteriore, ossia che i candidati all’ordine ricevano il sacramento soltanto se saranno giudicati necessari ed utili per le esigenze pastorali; poiché invece il beneficio è direttamente collegato ad un ufficio ecclesiastico, nel caso del titulus beneficii, tale verifica non è prescritta114.
Nella stessa sessione si dettarono altre norme riferite all’istituto beneficiale; il canone 3 del Decretum citato prevede, relativamente alle chiese cattedrali e collegiate, il prelievo di un terzo di tutti i frutti per destinarlo ai sacerdoti che celebrano i divini uffici mediante distribuzioni quotidiane di denaro. La ratio di tale prelievo è enunciata dalla norma stessa: «cum beneficia ad divinum cultum atque ecclesiastica munia obeunda sint constituta»115. Si tratta di un’affermazione di principio che va ben oltre il caso in specie e che potrebbe essere assunta come «cartina tornasole» degli interventi di tutto il Concilio, forse non innovativi dal punto di vista giuridico, ma di certo fondamentali per il ristabilimento delle regole e la loro corretta applicazione.
In questa prospettiva va letto anche il successivo canone 4 del Decretum de reformatione che riguarda il tema dei vicari e dell’erezione di nuove parrocchie. Affinché per ragioni patrimoniali non sia trascurata la cura animarum, il Concilio dispone che i vescovi possano costringere ad associarsi dei vicari quei rettori di chiese parrocchiali, ove la popolazione è talmente numerosa «ut unus rector non possit sufficere ecclesiasticis sacramentis ministrandis et cultui divino peragendo». Ciò originava ovviamente una ripartizione delle rendite del beneficio, che, diversamente, erano a completa ed esclusiva disposizione del rettore; si noti che tale norma sottolinea ulteriormente la natura per così dire «funzionale» del patrimonio beneficiale, tant’è che il criterio per la determinazione del numero dei vicari è meramente spirituale: «tot sacerdotes […] quot sufficiant ad sacramenta exhibenda et cultum divinum celebrandum»116. In altre parole il prius è la celebrazione del culto.
Il canone 6 del medesimo Decretum de reformatione prevede significativamente il ricorso alla nomina di vicari anche quando i rettori delle chiese parrocchiali siano senza cultura, incapaci e poco adatti ai divini uffici; questi rettori così coadiuvati resteranno al loro posto solo se conducono una vita onesta, ma, qualora fossero incorreggibilmente malvagi ed immorali, ai vescovi è riconosciuta la facoltà di privarli dei benefici117. Per l’avvenire – è importante ricordarlo – a complemento di tali severe previsioni, il Concilio detta anche regole per la formazione del clero e la creazione dei seminari, dimostrando ancora una volta una chiara attenzione per l’aspetto spirituale del ministero esercitato dai chierici118.
Nel canone 4 del medesimo Decretum vi sono delle regole anche per l’istituzione di nuove parrocchie; malgrado l’opposizione dei parroci, i vescovi possono procedere dividendo il territorio di quelle chiese i cui parrocchiani, per la distanza dei luoghi o per la difficoltà del percorso, non possono recarsi a ricevere i sacramenti «sine magno incommodo».
Ragioni pastorali giustificano quindi la frammentazione di benefici territorialmente molto estesi ed il canone 4 prevede che ai sacerdoti destinati al servizio in chiese di nuova erezione sia assegnata una porzione dei frutti appartenenti alla chiesa madre e che comunque il vescovo, se sarà necessario, potrà costringere il popolo a fornire quanto basti per il sostentamento di questi sacerdoti119.
Seguono la medesima ratio anche le trasformazioni dei benefici ecclesiastici, in più occasioni disciplinate dal Concilio: in tal senso devono leggersi il canone 5 dello stesso Decretum dedicato all’unione perpetua di chiese parrocchiali, di quelle con il fonte battesimale e di altri benefici con o senza cura d’anime ed il canone 7 inerente al trasferimento dei benefici, ove la trasformazione disposta dal vescovo è dettata dalla necessità di por fine alla rovina e all’abbandono degli edifici consacrati al culto120.
L’autorità del vescovo, sia per gli aspetti amministrativi sia per quelli disciplinari, è confermata anche dalla previsione del canone 8 del Decretum citato che regola la visita dell’ordinario nella sede dei benefici, affinché egli possa verificare direttamente in loco la condotta dei chierici e l’utilizzo dei beni ad essi affidati. Monasteri dati in commenda, abbazie, priorati e benefici saranno visitati ab episcopis, come precisa lo stesso canone: «etiam tamquam apostolicae sedis delegatis»121.
Da quanto sinora detto risulta ancor più chiaramente che il quadro delle norme dettate dal Concilio in materia di beneficio ecclesiastico e di sostentamento del clero non contiene elementi di grande innovazione.
Ciò che si ricava piuttosto dalla lettura dei vari decreti de reformatione è la ripresa e la consolidazione di un corpus normativo millenario, dal momento che, non essendo mutati nella sostanza i mezzi e le forme del sostentamento, non vi era la necessità di introdurre novità dal punto di vista degli istituti giuridici; era invece presente e forte il bisogno di riordinare l’esistente, di ricondurre alla disciplina le realtà ecclesiali e di restituire all’originaria funzione il considerevole complesso di beni appartenente alla Chiesa.
Quest’opera delicata e difficile, nella materia che ci interessa, venne portata avanti senza rinnegare i fondamenti dell’organizzazione ecclesiale in essere, ossia la ripartizione dell’asse ecclesiastico tra una pluralità di enti, in gran parte collegati ad un ufficio e ad un territorio ben determinati, con la conseguente amministrazione decentrata di tali beni.
Numerose norme ribadirono e rafforzarono i poteri di controllo dell’autorità episcopale, ma non fu mai contestata l’autonoma responsabilità del titolare del beneficio nell’amministrazione dello stesso. E’ questo un tratto caratteristico dell’intero sistema che, senza metterlo in discussione, il Concilio di Trento disciplinò e riorganizzò in maniera tale da rendere più effettivo e certo il rapporto tra la sede episcopale e le articolazioni territoriali delle diocesi.
112 Cfr. Conc. Chalcedonense, a. 451, c. 6, in COD, 90.
113 Cfr. Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 2, in COD, 728-729.
114 «Patrimonium vero vel pensionem obtinentes ordinari posthac non possint nisi illi, quos episcopus iudicaverit assumendos pro necessitate vel commoditate ecclesiarum suarum» (Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 2, in COD, 729).
115 Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 3, in COD, 729.
116 Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 4, in COD, 729.
117 Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 6, in COD, 730.
118 «[I seminari] nacquero per volere dei Padri di Trento, che ne decisero le linee direttrici nel luglio del 1563, nel corso della ventitreesima sessione. Il decreto faceva obbligo ad ogni chiesa cattedrale di formare alla vita ecclesiastica un certo numero di fanciulli di almeno dodici anni: i dettagli pratici dell’organizzazione erano accuratamente regolati. In paesi come l’Italia, rimasti pienamente fedeli al cattolicesimo, le concretizzazioni fecero immediatamente seguito al concilio […]. Altrove, la loro istituzione fu ritardata dalle guerre di religione […] La principale ondata di fondazione di seminari, iniziata verso il 1620, continua lungo tutto il secolo a ritmi alterni, in base alle disponibilità locali» (R. Taveneaux, «Il cattolicesimo post-tridentino», 527).
119 «Illis autem sacerdotibus, qui de novo erunt ecclesiis noviter erectis praeficiendi, competens assignetur portio arbitrio episcopi ex fructibus ad ecclesiam matricem quomodocumque pertinentibus» (Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 4, in COD, 730). Si noti che la ripartizione dei frutti è effettuata arbitrio episcopi e che spetta dunque all’ordinario garantire un’equa distribuzione delle rendite al fine del congruo sostentamento dei suoi chierici.
120 Cfr. Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, cc. 5 e 7, in COD, 730.
121 Conc. Tridentinum, sess. XXI, Decretum de reformatione, c. 8, in COD, 731.