O Germoglio della radice di lesse 19 dicembre
Link: Canto Gregoriano Radice di Lesse
1) Nella prima pagina del vangelo di Matteo sono elencate le generazioni che uniscono Cristo al capostipite Abramo. Passano tre gruppi di quattordici generazioni. Ogni anello porta un nome: su due di essi si legge: «Obed generò lesse e lesse generò Davide, il re».
Matteo registra, come fatto storico avvenuto, quanto aveva predetto Isaia: «Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore…» (Is 11, 1-2). E poco dopo lo stesso profeta soggiunge: «In quel giorno il germoglio di lesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti lo cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa» (Is 11, 10).
A questi testi, che descrivono la nascita e la missione di Cristo, la quale segnerà un ideale in cui si realizzeranno le migliori aspirazioni dell’uomo, si ispira l’antifona che dà il suo particolare colore alla giornata liturgica del 19 dicembre: O Germoglio della radice di lesse, che t’innalzi come un segnale per i popoli, dinanzi al quale i re resteranno muti e i pagani pregheranno, vieni a liberarci: non tardare.
2) «Germoglio della radice di lesse». Quando si percorrono i momenti della genealogia di Cristo, e si sosta davanti ai personaggi che la compongono, non si può non ricordare l’altro testo di Isaia: «È cresciuto come un virgulto e una radice in terra arida ». In una umanità infetta per il peccato, che gli antenati di Cristo hanno conosciuto personalmente sotto la forma dell’assassinio, della prostituzione, del tradimento, spunta lui, il Cristo che «nessuno può accusare di peccato». Tuttavia, siccome ha preso la natura umana com’è, così che nulla è a lui estraneo, questo virgulto «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non ha splendore per potercene compiacere» (Is 53, 2), «e il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti» (Is 53). Nell’immagine del germoglio e della radice, c’è un accenno all’intero mistero di Cristo: nel momento della sua Incarnazione, quando l’Eterno prende un corpo come l’abbiamo noi dal seno della Vergine Maria, ed è «il più bello fra i figli del l’uomo»; nel momento della Redenzione, quando il suo volto è tanto sfigurato, da non poter essere più considerato come aspetto d’uomo (cfr. Is 52, 14), e ancora nel momento del ritorno alla fine dei tempi, quando l’attesa fatta di fede, di speranza, di amore si concluderà davanti al volto luminoso di Cristo, che parlerà agli eletti: «Io, Gesù, io sono il germoglio della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino» (Ap 22, 16).
3) Natale e Pasqua sono i momenti in cui si risveglia la religiosità di molti. Dimentichi di Dio per buona parte dell’anno, non possono non ricordare in questi giorni, anche se non sempre in modo idoneo, la greppia dove un Dio si è fatto Bambino per noi, e ha vagito, né possono cancellare dalla memoria una croce sulla quale lo stesso Figlio di Dio «è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità» (Is 53, 5). Sono momenti nei quali «i re restano muti, e i pagani pregano». Nel corso dei secoli è avvenuto sempre così. San Paolo intuiva il processo di dilatazione del cristianesimo quando, citando questo testo di Isaia, ricordava che tutti, anche i pagani, sono andati da Dio e sono chiamati alla salvezza: «Spunterà il rampollo di lesse, colui che sorgerà a giudicare le nazioni: in lui le nazioni spereranno» (Rm 15, 12). La posizione evidentemente unica di Cristo era così sottolineata da Strauss: «Il Cristo è una potenza talmente vivente che bisognerebbe rimpiangere l’imbecillità dei critici che portassero a questi problemi, un interesse puramente storico».
4) Per i popoli, il cammino per arrivare a Cristo può essere lungo: per l’individuo si tratta di scoprire la simbologia di ciò che è «radice». È qualcosa che dice origine, principio, fonte dell’essere, della vita. Dio è tale per ogni creatura. Credere in lui, vuol dire avere stabilità (cfr. Is 7, 96). Se nella vita non si fa conto della presenza di Dio, e non ci si appoggia sulla sua forza, ma su altri fondamenti, ciò significa «sradicarsi dalla terra dei viventi» (Sal 52, 7). Conoscere sempre più un Dio che viene a salvarci, è entrare nella prospettiva sapienziale: «Conoscerti, o Dio, è giustizia perfetta; è radice di immortalità» (Sap 15, 3).
5) Il testo di Isaia ha dato origine ad una interessante raffigurazione nel Medio Evo dell’albero di lesse, nella pittura, nella scultura, nelle vetrate delle cattedrali. Il fatto ebbe il suo completamento nella letteratura, con la rappresentazione del «Dramma dei profeti di Cristo», che si recitava a Natale, e in cui i profeti comparivano per annunciare la venuta del Salvatore.
Quanto all’albero di lesse, questo patriarca vi era rappresentato dormiente. In sogno vedeva la sua discendenza distribuirsi sui rami di un albero. Fra tutti i per¬sonaggi spiccava la Vergine Maria, e sopra di lei era il Cristo. Qualche volta, Maria reggeva con la destra il Figlio e con la sinistra un ramoscello. L’arte, in tale forma, affidava alla nostra ammirazione, il simbolo di Maria: la Virga lesse. Da parte sua la liturgia cantava: «Germinava virga Iesse. Un germoglio è spuntato da lesse: dalla Vergine è nato il Salvatore: lode a te, nostro Dio».
Virgilio Card. Noè, I grandi annunzi di Natale, Libreria Editrice Vaticana, 2000, 25-29.