O Oriente 21 dicembre
1) O Oriente, splendore della luce eterna e sole di giustizia, vieni a illuminare coloro che abitano fra le tenebre e nell’ombra di morte.
Nell’uso biblico, l’oriente è il punto cardinale da cui arrivano agli uomini quotidianamente la luce, la vita, il calore. Questo modo di pensare è riflesso anche nel raconto della creazione, fatto nel libro della Genesi: «Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gn 2, 8).
Se nell’Eden, in oriente, è situata la fonte di ogni essere, che sgorga dalle mani di Dio, se il nome stesso di Dio è Oriente — «Ecco un uomo, il cui nome è Oriente ed egli germinerà da se stesso, ed edificherà il tempio del Signore (Zc 6, 121) —, è logico che l’uomo si rivolga il più spesso possibile verso l’oriente. Di lì si attende¬va il Messia: vi sarebbe sorto come un astro, per diffondere la luce sul mondo.
2) Un tale modo di pensare portava il cristiano antico a pregare, sia liturgicamente che privatamente, rivolgendosi verso l’oriente. Questa usanza è spesso presente nell’antica letteratura patristica. Ad esempio Origene, nella sua omelia ottava sul libro dei Giudici, spiega: «Ognuno che, in qualsiasi maniera, riceva il nome di Cristo, diviene un figlio dell’Oriente». Di Cristo infatti sta scritto: «Ecco un uomo, il cui nome è Oriente». Origene citava, in questo caso, il profeta Zaccaria. Questo pregare verso oriente nascondeva in sé una specie di nostalgia di paradiso perduto, coltivata dalla speranza di vedere arrivare, sempre dall’oriente, il Signore, ad un certo momento del tempo, per ristabilire l’ultimo giudizio sull’umanità. E qui che si trova la motivazione fondamentale per l’edificazione delle nostre chiese verso oriente. Questa è la ragione dell’«orientamento», che è sempre stato dato, nei limiti del possibile, alle tombe dei cristiani. Il fedele riposa nel cimitero, il grande dormitorio, con il volto rivolto verso quella parte, da cui arriverà il Signore nel giorno della risurrezione finale.
La medesima riflessione ha determinato ancora altri riti, ad esempio quelli battesimali. Il catecumeno che rinunciava a satana, alle sue opere e seduzioni, doveva voltarsi verso l’occidente, la regione delle tenebre, mentre per giurare la sua fedeltà a Cristo guardava verso l’oriente, il paese da cui nasce il sole: Cristo splendor paternae gloriae.
3) La simbologia del Cristo «Oriente, splendore della gloria eterna, sole di giustizia» ha avuto influsso su riti e testi della Chiesa in ogni tempo dell’anno, ma specialmente nei due cicli del Natale e della Pasqua. Limitandoci solo al periodo di Natale, la luce, come segno indicativo della divinità, viene attribuita a Cristo. Riempie notti e giorni di questo periodo liturgico, così che «tutte le cose, come dice la liturgia bizantina, ne sono illuminate». Isaia preannunzia la nascita di colui che avrebbe portato la pace sulla terra: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,2). Giovanni, l’evangelista, dal prologo del suo vangelo, afferma che il Verbo incarnato è «la luce vera, quella che era presso Dio», «e che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). Anche se questi non l’accolgono, resta la realtà: «Dio è luce e in lui non c’è nessuna tenebra».
Perfino le tenebre della morte sono dissipate. Simeone, quando riceve fra le sue braccia il bambino Gesù, lo saluta come «luce delle nazioni», e guarda con desiderio al momento in cui i suoi occhi si chiuderanno nella morte. Per avere visto la luce di Cristo, la morte non gli fa più paura: non è più nemica dell’uomo, ma è la sua pace.
4) Come la luce è simbolo di divinità, così lo è anche il sole. Cristo è chiamato sole di giustizia (Malachia 3, 20), che irradierà su tutti i suoi raggi benefici e che non tramonterà mai. A Natale si tratta di una luce dolce, che rischiara, che riscalda: L’Oriente ci visita dall’alto, per illuminare coloro che giacciono nelle tenebre e nell’ombra della morte e per indirizzare i nostri passi nella via della pace» (Lc 1, 79). Tuttavia la luce rimane al cuore del dramma del mondo, nel quale si elimina Dio dalla vita, e si affermano all’infinito i propri elementi di grandezza. «Il mondo moderno avvilisce, scrive Charles Péguy. Altri mondi idealizzavano o materializzavano, costruivano o demolivano, facevano della giustizia o facevano della forza… Il mondo moderno avvilisce. È la sua specialità. Avvilisce la città, avvilisce l’uomo, Avvilisce l’amore, avvilisce la donna. Avvilisce la razza, avvilisce il fanciullo. Avvilisce la nazione, avvilisce la famiglia».
Tutto questo perché gli uomini hanno amato le tenebre più della luce. Si sono trovati nella posizione di Agostino: «Io mettevo la mia gioia nelle cose e non conoscevo la sorgente donde veniva la loro certezza e la loro verità. Io avevo la schiena rivolta contro la luce e la faccia agli oggetti che la luce illumina, in modo che il mio sguardo, che vedeva gli oggetti illuminati, non era illuminato». La liturgia invita oggi a guardare all’Oriente, al Sole di giustizia, Cristo, che illumina esattamente i poli principali della vita: Dio, l’uomo, le realtà terrestri, la morte. Per non lasciarci sorprendere con «la schiena rivolta contro la luce», ci si metta in compagnia del cardinale John Henry Newman, per pregare con lui: «Guidami, dolce Luce, in mezzo al buio che mi avvolge, guidami innanzi. La notte è oscura e io sono lontano da casa; sorveglia i miei passi, non chiedo di vedere l’orizzonte lontano, un solo passo basta per me… Guidami, dolce Luce, conducimi a te, sempre più avanti».
5) A Natale, Cristo Luce sarà sostenuto da Maria. Fra quaranta giorni, nella festa della Presentazione, Cristo Luce sarà presentato al tempio da Maria. Sia la «Vergine della lampada» a ottenere la grazia, per quanti celebreranno il Natale, di portare in sé la luce benedetta di Cristo, riflesso dello «splendore della gloria di Dio» (Eb 1, 3).
Virgilio Card. Noè, I grandi annunzi di Natale, Libreria Editrice Vaticana, 2000, 37-41.