Persona giuridica e autonomia del patrimonio
Senza sminuire l’importanza di queste progressive acquisizioni che maggiormente denotavano gli elementi della fattispecie giuridica beneficiale, bisogna tuttavia ammettere che, dal punto di vista dottrinale, il momento decisivo fu certamente rappresentato dall’introduzione del concetto di persona giuridica e conseguentemente dal riconoscimento dell’autonomia patrimoniale di questo ente.
Si consideri, infatti, che l’idea che fosse possibile imputare dei diritti e delle obbligazioni ad un soggetto diverso dalla persona fisica era lontana dalla sensibilità degli antichi e, almeno sino alla età giustinianea, non si conoscono testimonianze della conoscenza di una tale categoria da parte dell’esperienza giuridica romana96.
Un insigne studioso come Biondi ha scritto al riguardo che: «le fonti romane presentano ordinamento e terminologia che, sia pure attraverso travisamenti e generalizzazioni, fornirono la base della teoria delle persone giuridiche, la quale è creazione degli interpreti e del diritto canonico»; per arrivare alla configurazione di un soggetto di diritto distinto dalle cose o dalle persone che compongono rispettivamente una universitas rerum o una universitas personarum occorrevano, secondo il Biondi, «quella capacità di astrazione ed attitudine per la trascendenza che risultano estranee al senso di concretezza che guida la giurisprudenza romana» e che invece era più affine alla sensibilità dei giuristi cristiani abituati a pensare la stessa Chiesa come persona, Corpus Mysticum trascendente in cui si esprime l’unità dei fedeli in rapporto col Cristo97.
Anche Albertario richiama, più o meno negli stessi termini, l’influsso della religione cristiana sulla scienza del diritto, quando scrive che «la concezione giustinianea e moderna della persona giuridica ha la sua origine e la sua base nella visione dell’Ecclesia come corpus unitario ed astratto» ed aggiunge, a commento, che si tratta di una «idea splendente nelle opere dei Padri che, della Chiesa, furono nei primi secoli ornamento insigne»98.
Il contributo dei canonisti in questa materia fu dunque geniale ed innovativo, al punto tale da creare uno dei concetti cardine del pensiero giuridico moderno.
Risolutivo fu l’apporto di un giurista genovese, Sinibaldo de’Fieschi, che divenne papa col nome di Innocenzo IV. La sua riflessione prese le mosse dal venir meno della vita collegiale del clero, con la conseguente frammentazione del patrimonio ecclesiastico determinata dal sorgere di nuove prebende e benefici; in particolare si trattava di precisare il rapporto di tali complessi di beni rispetto al capitolo originario.
Galante spiega in proposito che, poiché anche i chierici, come gli usufruttuari, in virtù del rapporto beneficiario potevano agire ed essere convenuti in giudizio per le prebende di cui godevano i frutti, Sinibaldo «si fa la domanda in nome di chi agisca in tal caso il beneficiato e risponde, in nome della prebenda stessa (nomine ipsius praebendae), affermandone l’autonomia giuridica con la dichiarazione: «imo praebenda potest sua iura habere et possidere»»99.
Per tale via, interrogandosi sulla legittimazione ad agire del beneficiario, Innocenzo IV affermò che questi agisce in nome e per conto della prebenda stessa. Fu stabilito così il principio della personalità giuridica del beneficio che, nelle epoche successive, non trovò più una formulazione altrettanto esplicita, almeno sino a quando nel 1917 il
definì espressamente il beneficio «ens iuridicum a competente ecclesiastica auctoritate in perpetuum constitutum» (canone 1409). Il beneficio ecclesiastico veniva ad esser considerato come un ente giuridico autonomo e sui generis, dotato di piena capacità e quindi titolare del patrimonio annesso all’ufficio.
Attraverso queste elaborazioni dottrinali in ambito canonico si dava quindi vita ad una fattispecie giuridica del tutto peculiare, dotata di una disciplina propria e regolata da un apposito complesso di norme, per indicare il quale ancor oggi si usa significativamente l’espressione «sistema beneficiale».
E’ assai evidente la portata di un simile inquadramento teorico per il regime dei sopramenzionati benefici costituiti mediante concessione vescovile, perché ciò che a livello consuetudinario era ormai acquisito – ossia un certo grado di autonomia dei benefici parrocchiali – ricevette una sistemazione coerente anche sul piano dogmatico.
Per quei benefici che erano sorti, invece, per effetto della donazione di un benefattore privato, abbiamo visto che il loro regime giuridico poteva essere ricavato anche dagli istituti di matrice civilistica, ma ciò avveniva con minori garanzie per la Chiesa e per le sue specifiche esigenze. In rapporto a questo genere di benefici va detto che la creazione di una disciplina canonica particolare ed esclusiva offrì degli strumenti concettuali tecnicamente adeguati per conciliare la volontà dei singoli benefattori con il più generale bonum Ecclesiae, senza dover adattare in maniera spuria gli istituti del diritto civile e correre il rischio di assoggettare tali patrimoni alla legislazione dell’autorità temporale.
Per altro verso, il riconoscimento della personalità giuridica del beneficio implicò anche una più precisa definizione della situazione soggettiva del beneficiario.
Era infatti conseguente affermare che, se la proprietà dei beni costituenti la dote spettava ad un ente giuridico autonomo, su tali beni il beneficiario non poteva che essere titolare di diritti in re aliena. Non si può disconoscere l’importanza di una simile acquisizione dottrinale, anche se era ben chiaro sin dall’epoca delle concessioni vescovili come il chierico non fosse proprietario dei beni beneficiali, in quanto il diritto del beneficiario aveva come oggetto una prestazione di tipo personale derivante da una concessione a titolo precario.
E’ ancora Galante a spiegare come l’affermazione della personalità giuridica del beneficio consentì ad Innocenzo IV di ricostruire la situazione giuridica soggettiva del beneficiario nei termini di diritto reale limitato tutelato con un’actio in rem: «colui, a cui vien concesso regolarmente il beneficio, può promuovere una in rem actio, una prebendae vindicatio o quasi vindicatio, in base a cui sorge una questione de dominio vel quasi dominio […]. Anche qui ritorna il concetto dell’usufrutto degli autori più antichi», oggetto dell’azione è lo ius beneficii definito dallo stesso Sinibaldo come «res aliena, quia Dei vel nullius est sicut quando petitur usufructus»100.
L’usufrutto quale diritto reale di godimento su cosa altrui fu quindi il riferimento concettuale adottato dai canonisti dell’epoca per qualificare analogicamente il rapporto beneficiale, affermandone nel contempo la piena originalità in quanto istituto regolato dall’ordinamento canonico. Tale schema concettuale ebbe grande successo e fu recepito anche nelle epoche successive, tant’è che nel Cinquecento fu riguardata come assai originale l’opinione del Sarmiento secondo cui il beneficiario sarebbe da ritenersi non usufruttuario, bensì proprietario dei beni beneficiali101.
Nell’ambito dell’indicata analogia con la figura dell’usufruttuario fu dunque trovato il riferimento normativo e dogmatico per regolare l’istituto, fissando all’interno dell’ordinamento canonico i diritti e le facoltà del beneficiario in maniera confacente alle peculiarità del beneficio stesso. A conferma di quanto detto ci piace chiudere questo paragrafo proprio con le parole di Sinibaldo de’Fieschi, secondo il quale il titolare del beneficio poteva «administrare res ecclesiae suae in temporalibus et spiritualibus tam in colligendis fructibus quam in actionibus intentandis nomine ecclesiae suae»102.
96 «Ma il diritto romano conosce solo le corporazioni non le istituzioni […] Spetta al diritto canonico il merito di avere sviluppato il concetto spirituale e trascendente di istituto, chè anzi esso colora le stesse corporazioni d’una tinta istituzionale. […] Ogni ufficio ecclesiastico dotato di patrimonio è trattato come ente, e mano mano che si accresce la specializzazione e la localizzazione di questi uffici, si accresce il numero degli istituti ecclesiastici» (F. Ferrara, Le persone giuridiche, 9).
97 B. Biondi, Istituzioni, 143-144.
98 E. Albertario, «Il concetto», 13.
99 A. Galante, «Il Beneficio ecclesiastico», 83-84, che cita Commentaria Innocentii IV Pont. M. super libros V decretalium, Francofurti a M. 1570, ad c. 3, X (2, 19), nn. 1-2.
100 A. Galante, «Il Beneficio ecclesiastico», 162, che cita Commentaria Innocentii IV Pont. M. super libros V decretalium, Francofurti a M. 1570, ad c. 9, X (I, 2), n. 9.
101 L’Autore qualifica espressamente il beneficiario come «dominus rerum beneficii» (F. Sarmiento, De redditibus ecclesiasticis, 232r).
102 A. Galante, «Il Beneficio ecclesiastico», 165, che cita Commentaria Innocentii IV Pont. M. super libros V decretalium, Francofurti a M. 1570, ad c. 15, X (I, 6), n. 1.