Il sistema francese

Per ragioni storiche molto diverse, dal punto di vista sia economico sia giuridico, la Chiesa francese si trova in una situazione diametralmente opposta poiché, per quanto dichiarato in più occasioni dal suo stesso episcopato, essa è piuttosto povera ed al contempo libera da ogni legame con lo Stato1; dal 1905, per legge, le è consentita soltanto la proprietà degli immobili adibiti alle attività ecclesiali e non può in alcun modo destinare «a rendita» il proprio patrimonio immobiliare.

In Francia, agli inizi del Novecento, una questione centrale del dibattito politico e del programma del governo repubblicano fu rappresentata dallo scontro sullo statuto giuridico delle confessioni religiose e della Chiesa cattolica in particolare, che all’epoca era giudicata pericoloso punto di riferimento delle forze conservatrici e reazionarie. Il clima di marcato anticlericalismo sfociò nel 1904 nella rottura delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato francese.

Dopo questo episodio, con la «Legge relativa alla separazione della Chiesa e dello Stato» del 9 dicembre 1905, venne abolito il regime concordatario napoleonico2 e, sulla base del principio della libertà di coscienza, si introdusse nell’ordinamento un modello che si fonda sulla uguaglianza giuridica di tutte le confessioni religiose e sull’indifferenza dello Stato nei confronti delle religioni3.

In altre parole, per effetto di quella legge, nell’ordinamento francese la religione perdette ogni rilevanza per il diritto pubblico, in quanto ritenuta mera espressione di una libertà privata, un fenomeno che sul piano sovraindividuale può ricevere considerazione solamente nell’ambito del diritto associativo. Ciò ha avuto come corollariola fine di ogni sovvenzione statale per il culto ed il sostentamento del clero4.

La reazione dei cattolici fu dura e sofferta; nel 1906, Pio X intervenne con due Encicliche (Vehementer nos e Gravissimo officii)5, condannando un provvedimento che per le sue connotazioni era così apertamente ostile alla libertà religiosa. Il Papa ingiunse alla Chiesa di Francia di rifiutare ogni accomodamento per l’applicazione della legge di separazione.

Le altre confessioni religiose, che si adeguarono alla politica del governo, dovettero invece accettare la trasformazione dei propri organismi e di tutte le loro attività in associazioni cultuali, regolate dalla legge del 1905 e soggette al riconoscimento pubblico. Lungi dal limitarsi a sancire il disinteresse dello Stato nei confronti del fenomeno religioso, il legislatore francese pretendeva così di disciplinare gli ordinamenti interni delle confessioni religiose.

La Chiesa cattolica rifiutò di sottomettersi a tale regime, anche perché diversamente si sarebbe profilato assai concreto il rischio della dispersione delle comunità cristiane in una congerie di associazioni giuridicamente indipendenti dal Vescovo diocesano. Solo negli anni Venti, quando furono riprese le relazioni diplomatiche con la Repubblica francese, venne concordata la definizione di uno specifico modello di persona giuridica, l’Associazione diocesana, organizzata in base ad uno statuto-tipo che fu riconosciuto dal Consiglio di Stato con il parere del 13 dicembre 1923 e da Pio XI attraverso l’Enciclica Maximam gravissimamque del 18 gennaio 19246.

Tra le finalità istituzionali dell’Association diocésaine vi sono l’organizzazione dell’esercizio del culto e la gestione dei beni destinati a tale scopo, quindi anche il sostentamento del clero. Va osservato che la forma associativa dell’ente non deve portare ad errate conclusioni circa la compatibilità dello stesso con l’ordinamento canonistico perché l’articolo 2 dello statuto-tipo precisa che tali funzioni sono esercitate «sous l’autorité de l’évêque, en communion avec le Saint Siège et conformément à la constitution de l’Église catholique» al punto che, nella stessa Chiesa francese, qualcuno ha lamentato il carattere atipico e non democratico di queste associazioni, ignorando però le caratteristiche proprie della costituzione della Chiesa7.

In epoca successiva a tali vicende, pur essendo cambiato il contesto politico, i principi ispiratori della legge di separazione sono stati riaffermati anche nella Carta costituzionale del 19588 e guidano tuttora la legislazione francese in materia. Una simile impostazione normativa si coniuga con l’assetto laicista di una società radicalmente scristianizzata9, in cui la Chiesa e soprattutto il clero, dal punto di vista economico, vivono una condizione di oggettiva incertezza e talora di difficoltà10.

In questa peculiare situazione, può ben dirsi che il caso francese rappresenti il modello di autofinanziamento religioso per antonomasia, mancando ogni forma di collaborazione da parte dello Stato.

Per provvedere alle necessità materiali dei sacerdoti, l’episcopato francese istituì negli anni 1906-1907 le Denier du culte, oggi denominato Denier de l’Église, che rappresenta la principale fonte del sistema di sostentamento del clero francese. Si tratta di un fondo che viene alimentato con una colletta annuale organizzata da ciascuna parrocchia secondo le indicazioni diocesane, in modo da consentire una equa partizione delle risorse disponibili in una logica di solidarietà e di condivisione.

La contribuzione dei fedeli è assolutamente libera e volontaria; quanto viene raccolto è versato all’Association diocésaine ed è quest’ultimo organismo a ridistribuire il ricavato tra le singole parrocchie, secondo criteri prefissati a livello diocesano. Va pure detto che a determinate condizioni, lo Stato riconosce la deducibilità fiscale delle offerte compiute direttamente a favore dell’Associazione diocesana11.

La Chiesa francese ha nuovamente affrontato la questione economica subito dopo il Concilio, nella prospettiva di applicare le indicazioni del decreto PO. Nel 1969, a Lourdes, un’Assemblea congiunta dei Vescovi e dei sacerdoti approvava alcuni orientamenti generali sull’utilizzo dei beni e delle proprietà della Chiesa, tra i quali vi era anche la seguente proposizione relativa all’oggetto di questo studio: «chaque prêtre devra bénéficier d’un partage fraternel des ressources, dans un esprit de justice et de solidarité qui exclut les inégalités. Un tel partage requiert, au niveau du presbyterium diocésain, une mise en commun des ressources (denier du clergé, casuel, traitement, salaire, etc.)»12.

Per studiare le modalità di applicazione di tali principi venne istituito un Gruppo nazionale di lavoro sulla vita materiale della Chiesa e dei sacerdoti. Nel 1971, sia il Sinodo dei vescovi sul ministero sacerdotale che l’Assemblea plenaria dell’Episcopato ribadirono la necessità di riorganizzare le materie economiche ed il sistema di sostentamento del clero; in particolare, l’Assemblea di Lourdes del 1971 osservava che «les méthodes de rémunération du clergé sont très disparates en France. Elles sont presque aussi nombreuses que les diocèses»13. Il medesimo documento, significativamente chiamato dalla Conferenza Episcopale «Loi-cadre et orientations pastoral», indicava l’obiettivo di una graduale unificazione dei modi di remunerazione dei sacerdoti adottati nelle diocesi14.

Dopo anni di osservazione e di studio, il Gruppo di lavoro nazionale presentò alla Conferenza Episcopale il progetto per Le Statut financier du prêtre, che nel 1984 fu approvato dall’Assemblea plenaria dell’episcopato francese15.

Lo Statuto si distingue in due parti: una di principi ed un’altra dedicata ai mezzi. Innanzitutto nel documento si ricorda che il legame che unisce il sacerdote al suo Vescovo ed alla Chiesa diocesana è di natura sacramentale, poiché il sacerdote è associato alla missione del Vescovo; correlativamente il Vescovo è obbligato a fornire al sacerdote i mezzi per una onesta sussistenza16.

Nel preambolo viene poi chiarito che lo Statuto si prefigge l’armonizzazione delle forme di remunerazione dei sacerdoti diocesani, non attraverso l’individuazione di un modello unico bensì mediante una verifica della prassi ed un richiamo ad alcuni criteri comuni. Si afferma infatti che l’individuazione di soluzioni applicative spetta ai Consigli presbiterali e pastorali o agli organismi di gestione (Association diocésaine, Commission du temporel), affinché gli strumenti scelti siano adeguati alla diversità delle situazioni diocesane consentendo così una recezione intelligente del Codice di Diritto Canonico appena emanato.

Quale frutto della peculiare riflessione della Chiesa francese sui beni materiali, nello Statut è molto forte la sottolineatura di alcuni aspetti di principio come la povertà della Chiesa e dei suoi ministri, l’originalità della società ecclesiale nel consesso delle altre società umane, la missionarietà intrinseca dell’opera pastorale.

La conciliazione di tali principi con le esigenze concrete della quotidianità è pertanto demandata alle singole diocesi, le quali – si dice – potranno ricevere ulteriori indicazioni pratiche dal Gruppo di lavoro nazionale.

Ognuna delle diocesi di Francia gestisce in piena autonomia il sistema di sostentamento del clero nelle forme giuridiche che abbiamo già visto. L’importo della remunerazione dei sacerdoti varia in ciascuna diocesi ed è stabilito dal Vescovo ripartendo le risorse disponibili; l’Ordinario diocesano fissa anche le quote che possono essere prelevate dalle risorse degli enti presso cui viene svolto il ministero per la copertura di alcune spese legate all’ufficio (ad es. per gli spostamenti), consentendo così di graduare la rigida parità stabilita a livello diocesano in caso di esigenze particolari.

Il tutto avviene utilizzando le offerte dei fedeli, attingendo al fondo per il sostentamento del clero che in ogni diocesi si incrementa con la colletta per le Denier du culte chiamato anche Denier de l’Église 17.

Dopo l’inchiesta compiuta nel 1989 circa l’attuazione delle norme contenute nello Statuto, la Conferenza Episcopale Francese, per il tramite del Gruppo di lavoro nazionale, ha diretto alle diocesi una circolare in cui si individuava come raccomandabile a livello nazionale una certa misura minima per la remunerazione mensile dei sacerdoti e venivano distinte le spese a carico degli enti in cui è prestato il servizio da quelle a carico del sacerdote. In ogni caso, spettano alla diocesi i versamenti per la previdenza sociale18.

Da ultimo va ricordato che, sul versante dei rapporti con gli enti pubblici, un’attenuazione al regime introdotto dalla legge di separazione può ravvisarsi nella facoltà legittimamente esercitata da numerose amministrazioni comunali, in quanto proprietarie degli edifici di culto e delle canoniche esistenti alla data del 9 dicembre 1905, di concedere ai parroci il godimento gratuito della casa parrocchiale od accordare al clero una remunerazione come corrispettivo dell’attività di custodia della chiesa e delle cose sacre destinate al culto.

Tuttavia tale contribuzione economica è consentita solo se viene a configurare una controprestazione per dei servizi che siano effettivamente resi e che i Comuni dovrebbero comunque remunerare, indipendentemente dal fatto che essi siano svolti da ministri di culto; diversamente sarebbe violato il divieto di sovvenzionare le confessioni religiose. Non mancano però parrocchie in cui il sacerdote deve pagare al Comune l’affitto per l’utilizzo della canonica.

Analogo discorso vale per quei casi ove, in forma assolutamente residuale, la legislazione francese ammette la possibilità di remunerare i ministri di culto, qualora essi svolgano il proprio ministero su richiesta di un ente pubblico; va osservato però che gli esempi citati in letteratura fanno tutti riferimento a situazioni episodiche come le trasmissioni radiofoniche o televisive a carattere religioso, le esequie di personalità pubbliche o di militari francesi morti in guerra. Anche per queste fattispecie vige una regola di natura meramente sinallagmatica, essendo cioè la remunerazione riconosciuta un corrispettivo per una prestazione resa19.

1 Basterebbe considerare alcune espressioni di p. René Wasselynck, segretario del Consiglio economico della Conferenza episcopale francese nel 1988: «l’Église ne reçoit plus rien, ni de l’État […] [ni] du Vatican […] La “richesse” en immeubles d’un diocèse est une pure mais tenace illusion: le diocèse ne peut pas […] posséder d’immeubles “de rapport” […] Les églises et presbytères qui existaient avant 1905 sont la propriété de la commune» (R. Wasselynck, «Les finances», 1157-1158).

2 La rivoluzione del 1789 abolì il sistema beneficiale e lasciò il posto ai «traitements publics, mis à la charge de l’Etat à titre d’indemnisation pour la nationalisation des biens ecclésiastiques. […] En l’espace de deux années, l’Assemblée nationale puis la Constituante dotèrent le clergé d’un statut financier, dont les mérites ne compensaient pas le caractère subversif au regard de la discipline canonique; jugé trop onéreux pour le budget de la Nation, le système subira des restrictions en attendant de demeurer lettre morte, puis de disparaître en 1794 avec la suppression du budget des cultes. Mais le tentative portait en germe le modèle du régime que le Concordat de 1801 et les Articles organiques mettront en ouvre dans la loi du 18 Germinal de l’An X. […] Or la loi de 1905 porta apparemment atteinte à l’unité ecclésiale de chaque confession, en instituant un régime d’associations cultuelles qui rendait aux Églises locales l’autonomie perdue depuis le XVIIe siècle» (G. Dole, «Gratuité du culte», 47 e 51).

3 Cfr. L. Governatori Renzoni, La separazione, 149.

4 Il regime del Concordato napoleonico è rimasto in vigore solo per tre départements (Haut-Rhin, Bas-Rhin, Moselle) che nel 1905 erano sottoposti all’autorità tedesca; in essi ancora oggi i ministri di culto sono remunerati dallo Stato, senza assumere per questo la qualifica di pubblici funzionari (cfr. L. Governatori Renzoni, La separazione, 90).

5Pio X, Enc. Vehementer nos, 11.2.1906, EEnc, IV, 146-172 e Pio X, Enc. Gravissimo officii, 10.8.1906, EEnc, IV, 182-189.

6 Cfr. Pio XI, Enc. Maximam gravissimamque,18.1.1924, EEnc, V, 144-157; B. Basdevant-Gaudemet, «Stato e Chiesa in Francia», 132. Il testo dello statuto-tipo dell’Associazione diocesana «Exemplum Statutorum – Association Diocésaine de …» venne pubblicato in AAS 16 (1924) 19-24 a seguito dell’enciclica Maximam gravissimamque. Recentemente, nel 1996, dopo un negoziato bilaterale, sono state apportate alcune modifiche allo Statuto-tipo dell’Associazione diocesana.

7 Cfr. Livre blanc, 31.

8 Cfr. B. Basdevant-Gaudemet, «Stato e Chiesa in Francia», 129.

9 «Circa l’80% dei francesi si dichiarano cattolici, anche se meno del 15% assistono regolarmente alla messa domenicale» (B. Basdevant-Gaudemet, «Stato e Chiesa in Francia», 125, nota 1).

10J. Thomas notava come nel 1986 «avendo tentato di accertare la situazione delle proprie finanze, la Chiesa di Francia scopre un avvenire carico di minacce» e si chiedeva se essa «potrà retribuire ancora i sacerdoti, i religiosi ed i laici a servizio permanente» (J. Thomas, «Les finances», 403).

11 Cfr. Secretariat Général de l’Episcopat, Guide juridique et administratif à l’usage des Diocèses et des Paroisses de France, Lourdes 1969, 62. Questa Guida, pubblicata ogni anno dalla Conferenza Episcopale, raccoglie e commenta le norme canoniche e le leggi civili riguardanti le materie economiche; lungi dall’essere un testo normativo autonomo, essa rappresenta un riferimento fondamentale per conoscere l’organizzazione amministrativa della Chiesa di Francia.

12Conférence Episcopale de France, «Lourdes 1969: Assemblée évêques-prêtres» 134.

13Conférence Episcopale de France, «Loi-cadre et orientations pastorales», 135.

14 «Il est impensable qu’on ne parvienne pas à une certaine unification des méthodes: les prêtres et les laïcs qui travaillent de plus en plus au plan interdiocésain ne comprendraient pas que, pour l’organisation financière, de telles divergences continuent à exister entre les diocèses» (Conférence Episcopale de France, «Loi-cadre et orientations pastorales», 136).

15Conférence Episcopale de France, «Le Statut financier du prêtre», 122-139.

16 B. Basdevant-Gaudemet, osservano in proposito che per il diritto francese: «non vi è un contratto di lavoro tra un chierico ed il suo superiore gerarchico. I loro rapporti sono di diverso ordine ed al diritto statale, neutro, è proibito dare una propria qualificazione ai rapporti risultanti dall’organizzazione interna delle Chiese […]. Il ministro di culto gode però di alcuni diritti propri dei lavoratori dipendenti tra cui il diritto alla sicurezza sociale» (B. Basdevant-Gaudemet, «Stato e Chiesa in Francia», 144).

17 R. Wasselynck enumera quali sono «les quatre ressources de l’Église», provenienti dai fedeli, derivanti da quattro fonti principali : «le Denier du culte, apellé aussi Denier de l’Église, est une collecte annuelle à la quelle chacun donne librement (40 % des ressources); – Les quêtes paroissiales (26%); – Les offrandes données pour des intentions de messe (20 %); – La contribution demandée aux familles pour des célébrations particulières: baptêmes, mariages, funérailles (14 %)» «A ce titre, les finances de l’Église de France sont “originales” et radicalement différentes des Églises des pays voisins (Belgique, Allemagne, Espagne ou Italie) où des dispositions légales permettent à l’Église locale d’obtenir des ressources par voie d’impôt ou en bénéficiant de contributions officielles» (R. Wasselynck, «Les finances», 1158).

18 «Le Groupe National recommande auxConseils économiques diocésains et aux Responsables du Temporel de verser aux prêtres en service dans le diocèse une allocation mensuelle de l’ordre de 3800 à 4000 F., le prêtre étant logé, chauffé, éclairé; […] restent à charge du prêtre: nourriture, assurance complémentaire, habillement, culture personnelle, frais de congés, de déplacements personnels» (Conference Episcopale de France, Circulaire verte n. 10-1990 aux Responsables diocésains du Temporel, 1).

19 Cfr. L. Governatori Renzoni, «Il finanziamento […] : la Francia», 149-152.

Comments are closed.