Il sistema spagnolo.

 

Abbiamo già detto che il sistema di finanziamento della religione cattolica vigente nell’ordinamento statale spagnolo è sicuramente il più affine a quello adottato dalla Repubblica Italiana, pur presentando dei tratti peculiari sia nel ruolo conservato dallo Stato, sia negli istituti giuridici individuati dalla Chiesa spagnola in attuazione dei precetti canonici sul sostentamento del clero.

Con la rinascita democratica del Paese, a seguito degli Accordi1 stipulati nel 1979 tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo furono modificate le forme del finanziamento pubblico della Chiesa cattolica previste dal Concordato del 1953, secondo il quale lo Stato erogava annualmente alla Chiesa dei fondi per le spese del culto ed il sostentamento del clero al fine di creare «un adeguato patrimonio ecclesiastico» (articolo 19). Tra le ragioni di tale sostegno, ne venivano indicate due che significativamente esprimevano il clima politico dell’epoca: «a titulo de indemnización por las pasadas desamortizaciones de bienes eclesiásticos […] contribución a la obra de la Iglesia en favor de la Nación»2.

Il superamento del regime concordatario precedente, basato su trasferimenti diretti di sovvenzioni pubbliche, è avvenuto in forza di uno spirito nuovo che informa le relazioni fra Chiesa e Stato in Spagna ed è stato delineato in tre fasi distintamente tracciate dagli Accordi del 1979, di cui faremo qui breve menzione3.

Nel primo periodo4, accanto ad una considerevole serie di agevolazioni tributarie, continuavano le erogazioni da parte dello Stato, ma – a differenza del passato – esse erano corrisposte in forma globale alla Conferenza Episcopale Spagnola (C.E.E.), che ne decideva autonomamente la suddivisione secondo le necessità delle Chiese particolari.

In un secondo periodo, la cui decorrenza più volte rinviata è stata decisa a partire dal 1988, entrava in vigore il nuovo sistema della asignación tributaria per cui, sulla base della scelta effettuata dai contribuenti al momento della dichiarazione dei redditi, veniva versata alla Chiesa una quota del gettito complessivo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche corrispondente ad una percentuale del 5,239 per mille5.

Durante questa fase, per la parte non coperta con la quota del gettito fiscale, le sovvenzioni statali venivano ancora garantite in forma integrativa (dotación en presupuesto) sino all’ammontare dell’importo erogato nel 1987 ed opportunamente rivalutato ogni anno6.

Nella terza fase, la Chiesa non si avvarrà di altri finanziamenti, se non di quelli derivanti dalla asignación tributaria7 e verrà pertanto a cessare ogni forma di sostegno economico pubblico diretto perché, con il nuovo sistema – come avviene ormai in Italia – lo Stato si limiterà ad essere un semplice veicolo di trasmissione del denaro assegnato dai cittadini contribuenti con la dichiarazione dei redditi.

Sul versante più propriamente ecclesiale, in occasione della prima applicazione del sistema dell’asignación tributaria, la Conferenza Episcopale Spagnola ha richiamato il dovere e la responsabilità dei fedeli di contribuire ai bisogni della Chiesa (canone 222), dando particolare rilievo all’obiettivo di accrescere con un’adeguata dotazione economica la libertà e l’autonomia della sua azione rispetto allo Stato sino a realizzare, quando sarà possibile, l’obiettivo del completo autofinanziamento8.

Tuttavia – come viene riconosciuto dagli stessi Vescovi nel citato documento – il trasferimento dei fondi che, in virtù degli Accordi del 1979, pervengono alla Chiesa spagnola, non ha comportato per essa sostanziali limitazioni da parte del Governo, dal momento che il riparto delle risorse avviene esclusivamente in ambito intraecclesiale e senza interferenze. Tale dato, per la storia recente della Spagna, rappresenta certamente un positivo passo avanti nel riconoscimento di una libertà religiosa rettamente intesa, soprattutto se si considera che l’apporto economico garantito direttamente dallo Stato è ancora quantitativamente significativo9.

La normativa sulle materie economiche adottata dalla Chiesa spagnola, subito dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico, pare ricercare ed esprimere queste rivendicazioni di autonomia attraverso la creazione di figure giuridiche appositamente deputate all’amministrazione dei beni ecclesiastici10.

Il complesso percorso post-conciliare che ha portato al riordino dell’organizzazione economica delle diocesi spagnole, secondo Federico Aznar Gil11, si può riepilogare in tre grandi tappe:

1* subito dopo il Concilio Vaticano II, le Chiese locali hanno promosso la creazione di nuovi organismi ed istituzioni di carattere fondamentalmente pastorale;

2* a seguito dell’Asamblea Conjunta Obispos Sacerdotes del 1970, in numerose diocesi si costituì poi la Caja Diocesana de Compensación, con la funzione di provvedere al sostentamento del clero, ma non venne affrontata integralmente la questione dei benefici ecclesiastici.

3* A partire dal 1977 si assiste invece ad una serie di interventi della Conferenza Episcopale volti a delineare una disciplina generale di riferimento ed individuare specifiche tipologie di enti12.

Nel Segundo decreto general del I.12.1984, si stabiliva che la Conferenza Episcopale dovesse costituire un Fondo comune interdiocesano orientato al preciso scopo di provvedere al sostentamento dei chierici a norma del canone 1274, attraverso le somme provenienti dall’asignación tributaria, le sovvenzioni statali nonché le offerte dei fedeli e quanto messo a disposizione dalle singole diocesi.

Come dispone l’articolo 6 del Reglamento de ordinación economica della C.E.E., che disciplina la natura e le finalità di tale Fondo, il riparto di queste somme tra le singole diocesi è di esclusiva competenza della Conferenza Episcopale e così pure la determinazione della misura della equitativa retribución dei sacerdoti, cioè della retribuzione minima nazionale. All’interno della C.E.E. è stato all’uopo istituito un Consejo de Economía a cui spetta il compito di proporre annualmente all’Assemblea Plenaria dei Vescovi i criteri per regolare a livello nazionale il sostentamento del clero (articolo 18 Reglamento de ordinación economica).

Non essendo però previste ulteriori attribuzioni normative di carattere generale, può dirsi che alla Conferenza Episcopale Spagnola, rispetto alla omologa istituzione italiana, spettano poteri più ridotti, in quanto il sistema iberico risulta fondato su di una più accentuata sussidiarietà13.

Quest’ultima valutazione sembra trovare conferma nei principi enunciati dalla C.E.E. prima ancora che si raggiungesse l’intesa per la modifica del regime concordatario. Le disposizioni del 1977, infatti, anticipavano e ben riassumevano la struttura e lo spirito dell’attuale sistema spagnolo di sostentamento del clero, al quale lo Stato si è limitato a fornire i mezzi finanziari: «todo sacerdote que ejerce su ministerio al servicio de una diócesis, o la ha servido antes de su situación de jubilación o enfermedad, tiene derecho a recibir de dicha diócesis: una retribución básica y igual a todos;complementos variables en función de las dificultades, necesidades o circunstancias especificas de su trabajo que los justifiquen»14.

Il diritto alla remunerazione per i sacerdoti che svolgono un servizio diocesano è dunque garantito dalla diocesi stessa, la quale, secondo le proprie disponibilità, determina in concreto la quota aggiuntiva (complementos variables)rispetto alla retribución básica, fissata in modo vincolante a livello nazionale, nonché la misura del contributo da richiedere alle parrocchie ed agli enti presso cui viene svolto il ministero15.

Pertanto, in Spagna, al di fuori dei profili precedentemente indicati, non esiste una disciplina unitaria di carattere nazionale in materia di sostentamento del clero né un sistema unico di computo e di liquidazione della remunerazione spettante ai sacerdoti, perché esso varia da diocesi a diocesi. Rispetto al sistema italiano, ai Vescovi spagnoli sembrerebbe lasciata una maggiore libertà di azione16.

É infatti il Vescovo diocesano in ciascuna diocesi a disporre delle somme provenienti dal Fondo interdiocesano ed a stabilire, secondo l’articolo 14 del Segundo decreto C.E.E., il Reglamento che disciplina in tutti i suoi aspetti la remunerazione dei sacerdoti17.

L’autonomia della diocesi trova poi espressione istituzionale nel Fondo diocesano «para sustentación de los clérigos que prestan un servicio en la diócesis»18, cui sono dedicati gli articoli 10-11-12-13 del Secundo decreto.

Anche il Fondo diocesano, per espresso richiamo del Decreto, è un Istituto ai sensi del canone 1274 § 1, il cui patrimonio è costituito principalmente dai beni beneficiali, ossia «todos aquellos, meubles o inmuebles, que constituyen la dote total o parcial de un beneficio episcopal, canonical, parroquial o de las capellanías; y todos aquellos cuyas rentas se han venido aplicando a la sustentación de los clérigos que prestan un servicio en la diócesis» (articolo 12 § 1 Segundo decreto)19.

In merito alla sorte dei benefici ecclesiastici, le norme della Conferenza Episcopale Spagnola prevedono che spetti al Vescovo diocesano valutare e dichiarare il carattere beneficiale dei beni, dopo di che sarà possibile all’economo diocesano trasferire la titolarità di tali beni al Fondo ex articolo 10 Segundo decreto e in applicazione del canone 1272.

Il sistema che abbiamo brevemente illustrato si caratterizza certo anche per il composito ed originale quadro applicativo cui hanno dato vita le Chiese particolari, in un articolato pluralismo di fonti normative che solo la presenza di alcuni limiti generali impedisce di considerare espressione di particolarismo giuridico. Basti pensare, come esempio, che per gli statuti dei Fondi diocesani, diversamente da quanto è stabilito in Italia, non esiste l’espressa previsione che essi debbano uniformarsi alle indicazioni normative della Conferenza Episcopale.

A differenziare ulteriormente il sistema spagnolo da quello italiano, vi è poi il fatto che in Spagna lo Stato ha mantenuto una serie di sovvenzioni che integrano i fondi per il sostentamento del clero e stabiliscono tuttora un collegamento non irrilevante con la confessione cattolica.

1 Il 3.1.1979 tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo sono stati stipulati quattro accordi per regolare nuovamente alcune delle materie prima disciplinate dal Concordato del 27.8.1953. Nell’ordine essi sono: l’Acuerdo sobre asuntos juridicos, l’Acuerdo sobre enseñanza y asuntos culturales, l’Acuerdo sobre la asistencia religiosa a las Fuerzas Armadas y el servicio militar de clérigos y religiosos, l’Acuerdo sobre asuntos económicos. Abbandonando decisamente il proprio passato, con la Costituzione del 1978, la Spagna ha cessato di essere uno Stato confessionale: «Ninguna confesión tendrá carácter estatal» (art. 16). Ciò non ha però significato – come in altre nazioni europee – il venir meno del riconoscimento del ruolo sociale svolto dalle confessioni religiose e quindi del sostegno finanziario (cfr. I. C. Ibán, «L’esperienza spagnola», 71-73; C. Corral Salvador, «La dotación», 281-320 [assai utile per ricostruire il dibattito parlamentare in Spagna sull’accordo tra la S. Sede e lo Stato circa gli affari economici]).

2 Cfr. F. R. Aznar Gil, «La retribución economica», 414-415.

3 Cfr. B. Herraez Rubio, «Normas», 127-161. Dello stesso Autore si veda anche: «Financiación», 121-139.

4Cfr. Acuerdo entre el Estado Español y la Santa Sede sobre asuntos económicos, articoli 1-2, AAS 72 (1980) 56-58.

5C.I. Ibán osserva che «questa percentuale è quella che avrebbe dovuto essere applicata per far sì che la Chiesa cattolica ricevesse, con il nuovo sistema, esattamente la stessa cifra che, fino ad allora, riceveva direttamente dallo Stato qualora tutti i contribuenti, nel momento in cui è entrato in vigore il sistema, avessero optato in favore della Chiesa cattolica. Mi pare ovvio che, nello spirito della norma, era presente l’idea di modificare questa percentuale, alzandola, in modo tale che, al termine di un periodo transitorio di tre anni indicato dallo stesso Acuerdo entre el Estado Español y la Santa Sede sobre asuntos económicos, la Chiesa ricevesse per questa via esattamente la stessa quantità di denaro che prima riceveva direttamente» (C.I. Ibán, «Stato e Chiesa in Spagna», 115).

6 L’art. 2.4 dell’Acuerdo entre el Estado Español y la Santa Sede sobre asuntos económicos chiariva la natura transitoria di questo sistema misto di finanziamento «durante il processo di sostituzione che si porterà a compimento nel termine di tre anni» (AAS 72 [1980] 57); in realtà, dopo il 1991 – termine stabilito dall’Accordo – a causa dell’insufficienza delle somme derivanti dall’asignación tributaria lo Stato spagnolo, senza fissare una scadenza, ha prorogato gli stanziamenti annuali en presupuesto a favore della Chiesa cattolica.

7 In prospettiva futura, va detto che la Chiesa spagnola vuole superare anche questo sistema. L’art. 2.5 dell’Acuerdo entre el Estado Español y la Santa Sede sobre asuntos económicos, contiene una impegnativa dichiarazione d’intenti secondo cui «La Iglesia Católica declara su propósito de lograr por si misma los recursos suficientes para la atención de sus necesitates». Ma le due parti non hanno escluso che, raggiunta la meta dell’integrale autofinanziamento da parte della Chiesa, siano possibili «otros campos y formas de colaboración económica entre la Iglesia católica y el Estado» (AAS 72 [1980] 57-58).

8 «Para los católicos españoles es importante lograr que nuestra Iglesia sea cada vez más consciente de sí misma y realice su misión con mayor libertad de poderes extraños a ella, sean economicos, sociales y políticos» (Conferencia Episcopal Española [C.E.E.], La ayuda economica a la Iglesia, Assemblea plenaria del 22.4.1988, n. 2).

9 É senz’altro indicativo ricordare che – per la Spagna – la Santa Sede, il 28.7.1976, ha dovuto impegnare lo Stato al rispetto dell’indipendenza della Chiesa con la previsione espressa nell’Accordo fra la Santa Sede e lo Stato Spagnolo che all’art. 1.1 stabilisce: «El nombramiento de Arzobispos y Obispos es de la esclusiva competencia de la Santa Sede» (Conventio inter Sanctam Sedem et Hispanam Nationem, in AAS 68 [1976] 509).

10 Cfr. Decreto general de la Conferencia Episcopal Española sobre las normas complementarias al nuevo Código de Derecho Canónico del 26.11.1983, Segundo decreto general de la Conferencia Episcopal Española sobre las normas complementarias al nuevo Código de Derecho Canónico del I.12.1984, Reglamento de ordenación económica de la Conferencia Episcopal Española del I.12.1984.

11 Cfr. F. R. Aznar Gil, «La retribución economica», 418-430.

12 Cfr. F. R. Aznar Gil, «La nueva organización económica», 183. Il contributo di questo Autore si segnala per l’articolata rappresentazione del pluralismo giuridico circa la disciplina delle materie economiche, vigente nella Chiesa spagnola prima degli interventi della Conferenza Episcopale. Di particolare interesse è la distinzione tra la Caja Diocesana de Compensación ed il Fondo Diocesano, le due figure giuridiche attraverso cui nelle varie diocesi si cercò di avviare, secondo il dettato del c. 1272, la sostituzione del sistema beneficiale come base dell’organizzazione economica ecclesiale. La prima era destinata esclusivamente al sostentamento del clero, mentre il Fondo era adibito anche ad altre necessità legate al culto ed alle opere caritative (cfr. F. R. Aznar Gil, «La nueva organización económica», 185-191).

13 Per alcune valutazioni di fondo cfr. I.M. Sanchez, «The financing», 19-40.

14C.E.E., Organización economica de la Iglesia Española. Comentario a los acuerdos tomados en la XXVII Asamblea Plenaria del Episcopado, Madrid 26.11.1977.

15 Così in C.E.E., Decreto general de la Conferencia Episcopal Española sobre algunas cuestiones especiales en materia económica del I.12.1984.

16 Si può ben comprendere questa grande varietà di posizioni confrontando i dati sulle singole diocesi forniti da F. R. Aznar Gil, «La retribución economica», 451-467.

17 Cfr. l’art. 14 § 1 Segundo decreto general de la Conferencia Episcopal Española sobre las normas complementarias al nuevo Código de Derecho Canónico del I.12.1984: «El Obispo diocesano, después de oír al Consejo presbiteral y al Consejo de asuntos económicos, establecerá el Reglamento por el que han de regirse las retribuciones de los clérigos que prestan servicio en la diócesis y se abonan con cargo al Fondo».

18 Cfr. D. Cebriá García, «La organización económica», 730-738.

19 Si veda, a questo proposito: F. R. Aznar Gil, «El fondo diocesano», soprattutto le pagine 630-641, dedicate alla legislazione particolare spagnola in materia.

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