2.1 Una prima panoramica generale

 

Pur nella molteplicità delle soluzioni adottate, una prima panoramica generale consente di affermare che nei Paesi che appartengono all’Unione Europea, salvo alcune eccezioni, il sostegno alle confessioni religiose è ritenuto un dovere dello Stato nei confronti dei propri cittadini. Questo sarebbe, secondo Ferrari ed Ibán, un tratto caratteristico dei sistemi giuridici europei rispetto al sistema statunitense, «dove tanto il finanziamento pubblico quanto l’insegnamento della religione non sono ammessi»1.

Tuttavia gli stessi autori aprono la loro classificazione dei modelli di finanziamento proprio con i sistemi in cui vige la regola dell’assoluta esclusione dei finanziamenti statali, che in alcune legislazioni europee è sancita addirittura da un espresso divieto2. In queste nazioni (Inghilterra, Olanda, Francia, Portogallo, Irlanda), le Chiese affrontano le proprie esigenze economiche mediante le offerte dei fedeli e con i proventi del patrimonio ecclesiastico che, peraltro, si è consistentemente ridotto a causa delle ben note vicende della nazionalizzazione dei beni ecclesiastici che tra il XVII e il XVIII sec. interessarono molti paesi europei.

Una simile situazione, che in Francia ad esempio risale alla controversa vicenda dell’abrogazione del Concordato avvenuta nel 1905, riveste anche degli aspetti positivi per le confessioni religiose che si trovano così a godere di una grande indipendenza nei confronti dello Stato e di ogni sua ingerenza nell’ordine che è loro proprio. Insegna infatti il Concilio che la Chiesa «si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione lo richiede», ma «non pone la sua speranza nei privilegi offerti dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza»3.

Ciò non significa invero che la Chiesa non possa pretendere legittimamente delle forme corrette di relazione con lo Stato che, a partire dal riconoscimento del valore etico e sociale della sua presenza, si traducano anche in un sostegno di carattere economico. La religione cattolica non è un semplice affare privato né una dottrina disincarnata e astorica; se così fosse, essa non avrebbe bisogno di un riconoscimento pubblico o di ricercare una relazione di collaborazione – o di conflitto – con lo Stato4.

Per completezza, va detto però che anche in questi Paesi vi sono per le confessioni religiose agevolazioni di ordine fiscale; il Concordato portoghese, ad esempio, contiene un’esenzione dal pagamento di tutte le imposte generali e locali per la Chiesa cattolica e i suoi ecclesiastici. Altre esenzioni dalle imposte riguardano gli immobili destinati a finalità di carattere religioso (monasteri, seminari, ecc.); mentre vi sono alcuni interventi pubblici di sostegno soprattutto per gli edifici di culto, ma si tratta di strumenti usati sporadicamente e molto spesso disposti in relazione a beni che, per quanto destinati al culto, appartengono allo Stato stesso5.

Dal punto di vista teorico, non meno problematico appare il rapporto tra lo Stato e la Chiesa laddove esistono finanziamenti diretti e regolari da parte dello Stato ad una o più confessioni religiose.

In Grecia, tutti gli stipendi e le pensioni dei ministri di culto della Chiesa ortodossa sono a carico dello Stato ed anche la Chiesa luterana danese riceve consistenti sovvenzioni pubbliche. In Belgio, in Lussemburgo ed in Finlandia il bilancio generale dello Stato prevede specificatamente la destinazione annuale di contributi economici ad una pluralità di confessioni religiose.

Molti studiosi in relazione a questi casi si chiedono ancora se la libertas Ecclesiae sia garantita a sufficienza laddove il clero è stipendiato dallo Stato e soprattutto quando – come in Grecia ed in Danimarca – i finanziamenti siano concessi esclusivamente a favore di una sola confessione religiosa6.

É fortissimo infatti il pericolo che le relazioni tra la sfera del potere civile e quella dell’autorità religiosa si configurino secondo una logica di privilegi e di concessioni, che fa venir meno il reciproco e necessario rispetto della sovranità e dell’indipendenza della Chiesa e dello Stato. Inoltre in questo modo e forse in maniera non sempre rispettosa della libertà religiosa, tutti i cittadini – compresi i non credenti – sono indirettamente tenuti a contribuire al sostentamento delle confessioni religiose, senza poter esprimere una scelta diversa.

Nel caso del modello partecipativo, invece, sono principalmente i fedeli a fornire i mezzi economici per sovvenire alle necessità della Chiesa; in termini generali si può dire che, in questa impostazione, il finanziamento è realizzato mediante la collaborazione dello Stato, ma esso si fonda sulla libera volontà dei fedeli. Occorre però distinguere le situazioni.

In alcuni Paesi come la Germania, l’Austria e la Svezia, la contribuzione dei fedeli ai bisogni della propria confessione religiosa è volontaria ma obbligatoria, nel senso che lo Stato ha istituito per legge una tassa ecclesiastica configurandola come una sovraimposta proporzionale al reddito7.

In forza dell’appartenenza confessionale, ciascun cittadino che non dichiari espressamente una volontà contraria è tenuto a pagare l’imposta e, in caso di mancato pagamento, alle autorità ecclesiastiche è riconosciuto il diritto di fare ricorso agli organi dello Stato per esigere il versamento coattivo.

Il sistema, qui esposto solamente per sommi capi, conosce numerose varianti; basti sapere che la riscossione della tassa in alcuni paesi è gestita direttamente dalle confessioni religiose, mentre in altri è affidata allo Stato al quale viene corrisposta una remunerazione per il servizio prestato. In ogni caso, il cittadino può sempre revocare la propria appartenenza rendendo un’apposita dichiarazione davanti a un funzionario statale e da quel momento non è più tenuto al pagamento dell’imposta.

In questo modello di autofinanziamento si possono inquadrare anche le soluzioni adottate dall’Italia e dalla Spagna che si contraddistinguono per una certa originalità, visto che, diversamente dal sistema imperniato sulla tassa ecclesiastica, non implicano un esborso supplementare per il cittadino, ma bensì si fondano sulla scelta, che tutti i contribuenti possono effettuare, di devolvere alla Chiesa una quota delle imposte versate allo Stato8. Lo strumento delle erogazioni liberali fiscalmente incentivate viene, invero, adottato anche dai Paesi europei in cui vige un diverso regime di finanziamento delle confessioni religiose; ma solo in questo sistema esso assume particolare significato, coniugandosi con la quasi assoluta esclusività del ruolo di finanziatori svolto dai fedeli rispetto allo Stato. Bisogna però osservare che, se questo modello si affida soprattutto alla corresponsabilità dei fedeli a cui viene chiesto di sostenere direttamente la propria Chiesa, lo Stato per parte sua non richiede dichiarazioni di appartenenza e favorisce la liberalità di qualsiasi contribuente, anche se non credente.

1 Anche se a noi pare viziata da un eccessivo ottimismo, si veda ad es. la seguente valutazione di S. Ferrari- C.I. Ibán: «l’idea che tra i compiti dello Stato rientri quello di sostenere economicamente le comunità religiose presenti sul territorio è un’idea comune a tutti i paesi dell’Europa occidentale (e ora, anche, orientale)» (S. Ferrari- C.I. Ibán, Diritto e religione,146). Quanto agli Stati Uniti d’America si veda F. Onida, «Il fenomeno religioso», 225-294. L’Autore definisce l’ordinamento statunitense come «il più compiuto modello di laicità e separatismo nel rapporto tra Stato e religione» (F. Onida, «Il fenomeno religioso», 227).

2 Cfr. l’art. 44.2.2° della Costituzione irlandese che recita: «lo Stato garantisce di non finanziare alcuna confessione religiosa» (J. Casey, «Stato e Chiesa in Irlanda», 160) e per la Francia l’art. 2 della legge 9.12.1905: «La Rèpublique assure la liberté de conscience. Elle garantit le libre-exercice des cultes sousles seules restrictions édictées dans l’intérêt de l’ordre public. Elle ne reconnaît, ni ne salaire, ni ne subventionne aucun culte» (Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, Chiesa – Stato in Europa, 51).

3 GS 76.

4 Così C.E.I., Comunione, comunità e disciplina ecclesiale (Roma I.1.1989), ECEI IV (1986-1990), 748. A proposito delle nuove disposizioni concordatarie italiane, annota significativamente la C.E.I.: «Una Chiesa che vive l’inscindibile connessione tra evangelizzazione e promozione umana non può non ricercare forme e strumenti concreti di collaborazione con la comunità politicamente organizzata dentro la quale esiste, al fine di assicurare “la promozione dell’uomo ed il bene del Paese” come programmaticamente dichiara l’art. 1 del nuovo Concordato».

5 Cfr. S. Ferrari – C.I. Ibán, Diritto e religione, 141-144.

6 L’art. 4 della Costituzione danese dichiara che «La Chiesa Evangelica Luterana è la Chiesa Nazionale Danese e come tale deve avere il sostegno dello Stato nelle sue relazioni economiche, giuridiche e politiche» (I. Dübeck, «Stato e Chiesa in Danimarca», 39).

7 R. Schött segnala che, con una peculiarità che è stata censurata dalla Commissione Europea dei diritti dell’uomo, nell’ordinamento svedese l’attuale imposta parrocchiale per il culto è versata da tutti i cittadini tenuti al pagamento dei tributi anche se non appartengono alla Chiesa di Svezia (cfr. R. Schött, «Stato e Chiesa in Svezia», 323-324).

8 In Italia, prima della riforma, potevano essere individuate tre fonti per il finanziamento della Chiesa: 1. Le offerte libere dei fedeli; 2. Il finanziamento indiretto da parte dello Stato attraverso stipendi e pensioni assicurati ad alcuni sacerdoti e, 3. Il finanziamento diretto dello Stato attraverso le congrue (cfr. G. Dalla Torre, «Il sostentamento», 169-179). Ora, invece, pur mantenendosi invariate le prime due fonti di finanziamento, si assiste ad un radicale mutamento della terza: ne nasce un nuovo sistema: «fondato sull’intreccio tra la messa a disposizione di risorse da parte dello Stato e le libere scelte dei cittadini contribuenti relativamente al “se” e al “quanto” di quelle risorse debba effettivamente pervenire alla Chiesa cattolica» (A. Nicora, «Il finanziamento», 40-42). Dopo la riforma: «A) sono stati aboliti i benefici ecclesiastici e i loro beni sono stati trasferiti in proprietà ai nuovi Istituti diocesani per il sostentamento del clero, i quali, con i redditi ricavati dall’amministrazione unificata e razionalizzata dei medesimi, dovranno concorrere ad assicurare il sostentamento di tutti i sacerdoti che svolgono il ministero in servizio delle diocesi italiane, integrando le remunerazioni a essi assicurate dagli enti ecclesiastici o gli stipendi a essi versati dagli enti pubblici presso i quali esercitano il ministero. B) Lo Stato non versa più l’ammontare delle ex congrue e non interviene più con finanziamenti diretti in favore dell’edilizia di culto. C) sono state introdotte due nuove forme di sostegno economico alla chiesa»: ossia la possibilità per i contribuenti di versare un’offerta detraibile per il sostentamento del clero e la possibilità di partecipare al sostegno delle generali necessità della Chiesa mediante l’otto per mille (A. Nicora, «Il finanziamento», 43-44 cfr. L. Mistò, «Il nuovo sistema», 110-111).

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