Raffronto con il sistema spagnolo, francese e tedesco
Il raffronto del sistema italiano con alcune delle soluzioni adottate in ambito europeo in materia di sostentamento del clero costituisce la seconda parte di questo capitolo: si tratta di mettere in relazione gli istituti elaborati dalle diverse esperienze giuridiche nazionali, cogliendo, ove possibile, elementi per approfondire la conoscenza e la valutazione della riforma concordataria italiana1.
Al riguardo, in una recente pubblicazione, Cesare Mirabelli ha esposto alcune interessanti osservazioni circa le funzioni dell’analisi comparata nell’ambito delle discipline giuridiche, mettendo in luce come lo studio, per analogie e differenze, di una pluralità di sistemi giuridici positivi, sia innanzitutto un utile strumento d’indagine per la comprensione di un singolo ordinamento2.
In questo nostro lavoro la prospettiva comparativistica viene adottata per la sua utilità conoscitiva, pur avendone presente i limiti.
È l’oggetto dell’osservazione a suggerire un metodo siffatto, poiché la natura universale della Chiesa cattolica non può non riversarsi sul carattere delle sue norme3; tanto più che l’indagine comparata, in sede di verifica dell’applicazione dei principi canonici di cui si è dato conto nei precedenti capitoli, a noi pare essere non solo uno strumento scientifico adeguato, bensì anche un opportuno riferimento metodologico alla comunione tra le Chiese, che è segno caratteristico della presenza dei cattolici nel mondo.
Del resto anche sul versante degli studi di diritto pubblico non è mancato chi, pur con accenti e sfumature diverse, ha affermato tout court che «il diritto ecclesiastico, avendo ad oggetto necessariamente i rapporti, di qualunque tipo essi siano, tra l’ordinamento dello Stato e quelli delle confessioni religiose – per noi segnatamente l’ordinamento canonico – è per sua stessa natura comparativo»4.
Sulla base di tali premesse, in questo paragrafo, prenderemo allora in considerazione tre sistemi tra loro assai diversi e nondimeno emblematici, nella consapevolezza che, per nazioni dalla lunga tradizione cattolica come Spagna, Francia e Germania, nel diritto ecclesiastico: «l’elemento storico-politico è più evidente e più sottile […]. I termini della comparazione talvolta sono troppo dissimili per essere efficacemente ragguagliati e ricondotti a sistema»5.
1 È curioso riportare in merito il progetto di Piola – purtroppo non attuato dall’Autore – che, nel 1937, propugnava la formazione e lo studio di uno ius commune concordatarium da porsi in relazione con il diritto canonico perché: «lo studio del diritto concordatario comparato giova all’interpretazione dei singoli concordati, perché i concordati hanno tra loro in comune una parte contraente (Santa Sede) e numerose disposizioni analoghe» (A. Piola, Introduzione, 186).
2 Accanto alla ricostruzione sistematica si sviluppa cioè, a giudizio dell’Autore, una funzione sussidiaria diretta ad una interpretazione più accorta delle fattispecie vigenti e ciò ai fini di un migliore esito applicativo. Per rimarcare ulteriormente l’importanza degli studi di diritto ecclesiastico comparato, Mirabelli propone anche una documentata rassegna delle ricerche compiute negli ultimi due secoli dai più illustri esponenti della dottrina italiana. Va notato che, molto spesso, proprio questi lavori con l’esame critico della normativa esistente costituiscono il presupposto scientifico per progetti di riforma legislativa: nell’assolvimento di quella che l’Autore chiama funzione progettuale, viene dunque a configurarsi un altro significativo apporto di questo delicato metodo d’analisi giuridica. L’approccio comparativo alle problematiche giuridiche tuttavia, ad avviso di Mirabelli, si segnala anche per alcuni inconvenienti tra cui quello di essere perennemente teso tra la ricostruzione analitica dei singoli regimi e la ‘tentazione’ di stampo giusnaturalistico di una indebita universalizzazione dei risultati di tale studio. Non a caso – osserva l’autore – con la rottura dell’unità della scienza giuridica europea, gli studi di diritto comparato si affermano nelle università; il ceto dei giuristi (per dirla in breve) avrebbe nostalgia dello ius commune e della possibilità di individuare, per via induttiva, un diritto sovranazionale e metapositivo. A questo non trascurabile «rischio ermeneutico», si affianca l’esigenza ormai ben più concreta di enucleare dei principi giuridici comuni di diritto uniforme nel quadro delle nuove istituzioni europee, facendo sì che il diritto comparato divenga una disciplina scientifica di grande attualità anche pratica (cfr. C. Mirabelli, «Diritto ecclesiastico», 59-62).
3 « Il diritto canonico infatti costituisce il solo ordine giuridico oggi vigente che abbia un carattere, un contenuto ed un’efficacia universali, cioè che risulti posto in essere non già per un territorio o per una popolazione determinata ma, potenzialmente almeno, per l’intera umanità» (P.A. D’Avack, Trattato di diritto canonico, 129).
4 F. Onida, «L’interesse», 608-609.
5 Cfr. C. Mirabelli, «Diritto ecclesiastico», 79.