Sostentamento del Clero nei Paesi esteri

La Polonia
Meno incerta appare la situazione vissuta dalla Chiesa in Polonia, anche perché la Costituzione prevede espressamente che i rapporti tra lo Stato, le Chiese e le associazioni confessionali siano fondati sulla base del rispetto della reciproca autonomia ed indipendenza di ognuno nel proprio ambito, in vista di una cooperazione per il bene dell’uomo e per il bene comune1.

Questi principi sono stati solennemente ribaditi nel testo del Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica di Polonia, che è stato siglato a Varsavia il 28 luglio 1993 e ratificato, soltanto cinque anni dopo, il 25 marzo 19982.

Questi dati non fanno che confermare quanto è desumibile dalla storia recente del Paese, ossia che la Chiesa polacca è in condizione di dialogare con lo Stato sulla base di un rapporto paritario. Il Concordato è redatto in lingua italiana e polacca e si compone di un preambolo e di 29 articoli. Esso stabilisce le basi per una mutua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato. La ratifica del testo, firmato nel luglio 1993 dal governo uscente, era stata ostacolata dalla maggioranza post-comunista andata al potere nella legislatura 1993-1997.

Per quanto attiene alle questioni economiche, anche se esistono sovvenzioni statali3, in Polonia il finanziamento della Chiesa avviene tradizionalmente attraverso le libere offerte dei fedeli. Mediante le offerte per la celebrazione delle Sante Messe ed i cosiddetti iura stolae (offerte fatte in occasione di battesimi, matrimoni e funerali), il clero può garantirsi quanto è necessario al proprio sostentamento; poiché però lo Stato ha accettato l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, è presumibile che da parte dell’autorità civile molti sacerdoti otterranno una remunerazione in qualità di insegnanti. Infine, l’articolo 22.2 del nuovo Concordato prevede che «le Parti Contraenti istituiranno una speciale commissione, che si occuperà dei necessari cambiamenti in materia» di «questioni finanziarie delle istituzioni e dei beni ecclesiastici nonché del clero»4.

3.1.8 L’Albania

Nell’area dei Balcani convivono regimi tra loro molto eterogenei. Le difficoltà della Chiesa albanese, uscita dalla persecuzione e dalla clandestinità, sono accresciute – ad esempio – dalla mancanza di una normativa che garantisca i diritti delle confessioni religiose, riconosciuti soltanto de facto e non de iure. La Conferenza Episcopale Albanese riferisce che le uniche fonti di finanziamento della Chiesa provengono dall’estero sotto forma di aiuti delle Chiese sorelle e nello stesso modo si provvede al sostentamento del clero, salve le entrate rappresentate dalle liberalità dei fedeli.

3.1.9 La Croazia

Sempre nella zona balcanica, la Conferenza Episcopale Croata, istituita nel 1993 dopo lo scioglimento della ex Jugoslavia, è stata ufficialmente riconosciuta dallo Stato a seguito dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche, firmato a Zagabria il 19 dicembre 19965. Nella stessa data sono stati conclusi anche l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa la collaborazione in campo educativo e culturale6 e l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa l’assistenza religiosa ai fedeli cattolici, membri delle forze armate e della polizia della Repubblica di Croazia7. Successivamente, il 9 ottobre 1998 è stato siglato l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche8, per dare attuazione a quanto disposto nell’articolo 17.4 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche, ove si prevedeva che «le competenti autorità della Repubblica di Croazia e le competenti autorità ecclesiastiche stabiliranno di comune accordo i sussidi economici che la Repubblica di Croazia fornirà alle istituzioni della Chiesa cattolica al servizio del bene comune della società»9.

L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche del 1998 contiene in sintesi: alcune esenzioni fiscali per le entrate e le rendite del patrimonio ecclesiastico; la restituzione da parte dello Stato dei beni della Chiesa espropriati durante il regime comunista jugoslavo ovvero una compensazione in denaro, qualora non sia possibile restituire parte degli immobili; il trasferimento annuale alla Chiesa di una somma di denaro pubblico «riconoscendo di pubblica utilità il lavoro da essa svolto nei campi culturale, educativo, sociale ed etico» (articolo 2.2)10.

Si tratta dunque di un sistema di sovvenzione diretta, di cui i successivi articoli dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche precisano i dettagli. L’articolo 6.2 indica infatti che la Repubblica croata assicurerà mensilmente alla Chiesa «dal bilancio annuale statale, la somma corrispondente a due stipendi medi lordi moltiplicati per il numero delle parrocchie esistenti»11; il numero 4 dello stesso articolo specifica che tale somma include «oltre alle spese per il mantenimento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici»12 anche quelle per la costruzione delle chiese e dei centri pastorali.

L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche contiene anche degli elementi di disciplina che ricadono più propriamente in ambito canonico laddove stabilisce che «per una equa distribuzione delle menzionate erogazioni la Conferenza Episcopale Croata erigerà l’Istituto Centrale per il sostentamento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici. Lo stesso faranno anche tutte le diocesi per il proprio territorio» (articolo 7.2)13. Conseguentemente, «la somma erogata verrà trasmessa mensilmente all’Istituto Centrale della Conferenza Episcopale Croata per il sostentamento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici» (articolo 6.5)14.

3.2 La Grecia

La condizione della Chiesa cattolica in Grecia va inquadrata nel contesto più ampio della politica ecclesiastica dello Stato; infatti la Costituzione del 1975, in continuità con le precedenti carte costituzionali, proclamava la confessione cristiana ortodossa quale religione ufficiale dello Stato, confermando così la preminenza giuridica della confessione religiosa largamente maggioritaria e tanto legata alla tradizione, alla identità ed alla storia della Nazione da poter condizionare anche gli orientamenti della vita politica del Paese15. É dunque questo il presupposto del considerevole sostegno finanziario pubblico accordato in maniera esclusiva alla Chiesa ortodossa greca, che si esplica attraverso una serie di sovvenzioni dirette, di esenzioni fiscali ed altre agevolazioni e soprattutto mediante il pagamento degli stipendi del clero16.

Lo Stato greco si accolla infatti quasi interamente il finanziamento della religione prevalente, mentre, con una politica discriminatoria, non riconosce alcuna forma di sovvenzione economica alle altre Chiese e confessioni religiose.

Con i fondi pubblici vengono regolarmente corrisposti degli stipendi ai prelati, ai ministri di culto ed ai diaconi in servizio presso le parrocchie, ai predicatori ed anche ai laici che sono impiegati nella Chiesa ortodossa. Il sistema di remunerazione è organizzato in quattro livelli retributivi a seconda del grado di istruzione; come contropartita, lo Stato riceve dalla Chiesa il 35% delle entrate delle parrocchie, ma tale somma è di molto inferiore all’esborso complessivamente sostenuto dal bilancio pubblico17.

Un simile modello, oltre a ledere i diritti dei contribuenti che siano atei o appartengano ad altre confessione religiose, è giudicato da molti contrario alla natura stessa della Chiesa che, abdicando alla propria autonomia, corre il rischio di divenire un’agenzia territoriale dello Stato. É indubbiamente significativo in tal senso che l’autorità civile, secondo la Costituzione, abbia il diritto di regolare per legge tutte le questioni amministrative ecclesiastiche18.

3.3 Il Portogallo

Per restare nell’area mediterranea, in Portogallo, il Concordato del 1940 non prevede alcuna forma di sovvenzione statale per il culto ed il sostentamento dei sacerdoti, cosicché, sulla base delle elargizioni dei fedeli e delle rendite degli immobili di proprietà della Chiesa, sono le comunità parrocchiali a provvedere alla remunerazione del clero e l’intervento della diocesi è solo sussidiario.

Sull’evoluzione del diritto ecclesiastico portoghese, Vitalino Canas, in uno studio per il Consorzio europeo di ricerca sui rapporti tra Stati e confessioni religiose, ha evidenziato19 come, nonostante che la Costituzione portoghese del 1976 abbia affermato la neutralità dello Stato e l’uguaglianza delle religioni, la Chiesa cattolica fruisca ancora di privilegi particolari, tra cui spicca l’esenzione generalizzata dalle imposte sia locali che nazionali20.

3.4 La Repubblica di Malta

Anche la Repubblica di Malta non ha un sistema di finanziamento pubblico della Chiesa ed il sostentamento del clero avviene attraverso il Fondo del Clero delle Diocesi, cioè con l’autofinanziamento; tale Fondo garantisce una remunerazione regolare ai sacerdoti ed ai diaconi impegnati a tempo pieno nell’attività pastorale, utilizzando i seguenti cespiti: gli investimenti delle fondazioni per il clero (tra cui i benefici ecclesiastici ed i lasciti); le contribuzioni delle parrocchie e degli enti ecclesiastici presso cui i sacerdoti svolgono il loro ministero; le elemosine per la celebrazione di Messe21.

3.5 La Svizzera

In Svizzera invece, nella maggior parte dei Cantoni sono in vigore dei concordati che attribuiscono all’autorità civile il potere di riscuotere la tassa ecclesiastica per conto della Chiesa, secondo un modello non dissimile da quello tedesco. La materia delle tasse ecclesiastiche è rimessa alla esclusiva competenza cantonale22. In merito l’articolo 49 della Costituzione Federale dispone che «nessuno è tenuto a pagare aggravi d’imposta a causa propria e particolare dell’esercizio del culto di un’associazione religiosa alla quale non appartiene»; il medesimo articolo prevede anche una legge quadro generale che però, a distanza di un secolo, non è ancora stata emanata23.

Più in generale, secondo l’articolo 3 della Costituzione federale, tutta la materia dei rapporti tra Chiesa e Stato compete ai Cantoni24; di questa competenza i Cantoni fanno uso in modo vario e assai diverso, a seconda delle loro peculiari tradizioni storiche. Ciò incide naturalmente anche sulla materia della remunerazione dei ministri di culto che varia tra Cantone e Cantone a seconda della normativa e della pratica vigente. Il particolarismo è infatti un tratto marcato dell’ordinamento elvetico; si pensi, ad esempio, che nella diocesi di Basilea, che comprende dieci Cantoni svizzeri, l’Ordinario del luogo deve curare gli interessi della diocesi misurandosi con dieci diverse discipline giuridiche. Ne risulta una situazione difficile e complicata.

Mentre in due Cantoni (Ginevra e Neuchâtel) esiste – in seguito a un plebiscito – una completa separazione tra Stato e Chiesa e non vige l’imposta sul culto, negli altri Cantoni vi sono invece vari gradi di collaborazione tra i due ambiti, che spesso però assumono i tratti del giurisdizionalismo da parte dello Stato.

La maggior parte dei Cantoni svizzeri garantisce alle confessioni principali – Chiesa evangelico riformata e Chiesa cattolica romana – uno status di diritto pubblico. Se ciò attribuisce il diritto di riscossione delle tasse ecclesiastiche, tuttavia obbliga le chiese a dotarsi di strutture regolate dalle norme dello Stato (Kirchgemeinde); si tratta di enti di diritto ecclesiastico che non coincidono con le parrocchie ed a cui è imposta una costituzione democratica che non sempre riflette l’autentica natura degli organismi ecclesiali secondo il diritto canonico25.

Anche le Chiese cantonali (Landeskirchen), un altro istituto di derivazione concordataria, sono corporazioni di diritto pubblico indipendenti dalle diocesi, disciplinate dal diritto ecclesiastico statale ed orientate in direzione sovradiocesana. Ciò pone non poche questioni, perché sono questi enti ad essere titolari dell’imposta sul culto e ad assicurare la base materiale per la cura pastorale: avviene cioè che i sacerdoti sono incaricati dal Vescovo, ma sono impiegati e stipendiati della Kirchgemeinde26.

In sintesi sono dunque tre le fonti di finanziamento delle chiese cantonali: la tassa ecclesiastica sugli appartenenti alla confessione religiosa (Kirchensteuer)27; la tassa ecclesiastica sulle persone giuridiche, peculiarità tutta elvetica e presente solo in alcuni Cantoni28; i contributi degli enti pubblici29. La retribuzione dei sacerdoti avviene da parte delle Kirchgemeinden e delle chiese cantonali; ma esistono anche dei Cantoni nei quali lo Stato si fa carico di una parte o anche di tutti gli stipendi del clero (Berna, Vaud, Zurigo, Vallese). La questione del sostentamento del clero in Svizzera non è dunque regolata a livello di Conferenza episcopale e neppure statualmente a livello nazionale, bensì dipende dalle singole Chiese cantonali ovvero dalla Chiesa diocesana nel suo rapporto, nei singoli Cantoni, con le strutture statali ecclesiastiche.

3.6 L’Austria

In Austria, vige ancora il Concordato siglato con la Santa Sede il 5 giugno 1933, successivamente integrato da una serie di trattati addizionali30. Per quanto attiene ai profili economici, oltre a ricevere dei versamenti annuali dallo Stato come indennizzo dei danni conseguenti all’occupazione nazista, la Chiesa ha il diritto di riscuotere l’imposta ecclesiastica presso i suoi fedeli e di accedere all’elenco dei contribuenti. La determinazione dell’ammontare della contribuzione e delle modalità di riscossione sono rimesse all’autonomia delle confessioni religiose, che provvedono con apposite ordinanze alle quali lo Stato riconosce carattere vincolante31.

3.7 La Gran Bretagna

Le Chiese cattoliche di Inghilterra e di Scozia32 sovvengono alle proprie necessità soprattutto grazie alle offerte dei fedeli ed alle rendite del patrimonio ecclesiastico. L’unico significativo fattore di sostegno pubblico è di natura squisitamente tributaria; le diocesi, le congregazioni religiose e molte altre opere della Chiesa rivestono infatti nel diritto pubblico lo status di charities33, sono cioè enti non commerciali aventi scopi benefici, ai quali viene garantito un regime agevolato sotto diversi profili: esenzione dai tributi locali per gli immobili e deducibilità fiscale delle donazioni34.

3. 8 L’Irlanda

In Irlanda, nonostante la popolazione sia a grande maggioranza cattolica, la Costituzione proibisce il finanziamento delle confessioni religiose35 e pertanto non vi sono sovvenzioni pubbliche, ad eccezione dei contributi per il restauro di edifici di culto a rilevanza storica36. Nel citato questionario del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, la Chiesa irlandese si limitava a segnalare che al sostentamento del clero si provvede attraverso la raccolta settimanale delle offerte dei partecipanti alla messa37.

3.9 Il Lussemburgo

In Lussemburgo, ove circa il 90% della popolazione appartiene alla religione cattolica, la Costituzione garantisce che gli stipendi e le pensioni degli ecclesiastici e degli altri ministri titolari di un ufficio ecclesiastico siano fissati per legge e pagati dallo Stato (articolo 106 della Costituzione del 1868)38.

3.10 I Paesi Bassi

Nel 1983, nei Paesi Bassi si è realizzata una riforma generale della Costituzione che ha interessato anche la materia della libertà religiosa. A partire dal 1984, con l’entrata in vigore degli Accordi stipulati tra lo Stato e le confessioni religiose, si è infatti verificata l’estinzione del rapporto finanziario tra Stato e Chiese in virtù del quale lo Stato era tenuto a corrispondere ai ministri di culto gli stipendi e le pensioni, obbligo che era in precedenza sancito da una specifica disposizione costituzionale come riparazione alla confisca dei beni ecclesiastici39.

Contestualmente al superamento di questo sistema, gli Accordi hanno istituito una Fondazione interecclesiale per la cura degli interessi del riscatto a cui lo Stato ha conferito un’adeguata dotazione per finanziare il pagamento delle pensioni dei ministri di culto40.

Pertanto, anche se lo Stato olandese finanzia una parte delle opere per la costruzione e per il restauro41 degli edifici di culto, sono ormai i fedeli a sostenere le necessità della Chiesa e del clero e ciò avviene esclusivamente nell’ambito di rapporti regolati dal diritto privato, perché in Olanda le confessioni religiose sono persone giuridiche di diritto civile42.

3.11 Il Belgio

Molto singolare appare il sistema del Belgio, ove le relazioni tra Chiesa e Stato sono in larga parte disciplinate dalla Costituzione del 1831, secondo cui lo Stato provvede direttamente alla retribuzione dei ministri di culto delle sei religioni riconosciute (cattolica, anglicana, protestante, ortodossa, ebraica e musulmana) ed anche – a partire dal 1993 – dei rappresentanti delle organizzazioni umanitarie43.

Questa ultima modifica dà l’idea dell’avanzato processo di secolarizzazione in corso nelle società nordeuropee che, in più nazioni, per converso ha indotto la Chiesa cattolica ad accentuare il ruolo svolto dagli operatori pastorali laici. Proprio su questo tema, la norma sulle organizzazioni umanistiche ha aperto un dibattito volto ad ottenere l’inclusione dei laici che operano per le confessioni religiose tra gli stipendiati dallo Stato. Affinché la remunerazione venga corrisposta occorre che i sacerdoti ed i diaconi della Chiesa cattolica svolgano un servizio riconosciuto dalla pubblica autorità; mentre ulteriore sostegno deriva dalle amministrazioni comunali e provinciali, che sono proprietarie degli edifici di culto e in quanto tali garantiscono gratuitamente o a condizioni di favore le abitazioni al clero residente. Gli enti locali sono inoltre tenuti per legge a ripianare eventuali passività in cui fossero incorsi gli organismi territoriali delle singole confessioni religiose44.

3.12 La Scandinavia

Le Chiese dell’area scandinava (Islanda, Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia) hanno riferito al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, nel corso della citata Assemblea di Czestochowa, che la confessione cattolica ha come unica fonte di sostegno i contributi volontari dei fedeli e che la retribuzione dei sacerdoti è compito delle diocesi e delle rispettive comunità45. Ciò non significa che in quei Paesi sia in vigore un regime separatista nei confronti di tutte le confessioni religiose, dal momento che in Finlandia – ad esempio – lo Stato paga gli stipendi e le pensioni dei vescovi luterani ed ortodossi e riconosce soltanto a queste due chiese il diritto di riscuotere la tassa ecclesiastica46.

3.12.1 La Danimarca

In Danimarca, inoltre, un consistente sostegno pubblico viene assicurato annualmente ed in via esclusiva alla Chiesa luterana; mentre le altre confessioni religiose sono considerate dallo Stato come istituzioni private indipendenti, che possono chiedere il riconoscimento governativo esclusivamente al fine di vedere garantita dall’ordinamento civile la validità giuridica di alcuni atti e sacramenti come il matrimonio. Il riconoscimento però non dà diritto a ricevere alcun aiuto economico da parte dello Stato47.

4. Considerazioni conclusive

La rassegna, sin qui condotta, dei modelli di finanziamento pubblico delle confessioni religiose in Europa, indica con evidenza l’eterogeneità delle soluzioni in essere. Le ragioni di ciò sono molteplici. A questo punto, poiché – come si è visto – la materia oggetto del nostro studio non si esaurisce nell’ambito dell’ordinamento canonico, crediamo di aver sufficientemente dimostrato che una verifica del grado di applicazione dei principi del Concilio Vaticano II e dei canoni del vigente Codex Iuris Canonici deve misurarsi anche con norme e fattori esterni alla esperienza giuridica della Chiesa.

Il canone 1272 ha previsto la graduale soppressione del sistema beneficiale, laddove esso ancora esisteva. La norma ha avuto positivi effetti di semplificazione amministrativa e modernizzazione nella gestione del patrimonio ecclesiastico. Si noti però che, se in Italia ed in Spagna l’attuazione del canone 1272 ha comportato una sostanziale trasformazione del sistema di sostentamento del clero, la stessa cosa non può dirsi per le Chiese di quei Paesi in cui il sistema beneficiale era già stato rimosso dalla storia, prima ancora che il Codex Iuris Canonici o lo stesso Concilio intervenissero sulla materia.

In tali situazioni, che erano ben presenti al legislatore canonico del 1983, è più delicato stabilire fino a che punto siano stati recepiti i nuovi principi ispiratori del sistema. La tormentata vicenda della Chiesa francese è in tal senso un caso indicativo e paradigmatico.

Si consideri poi che il regime di remunerazione dei sacerdoti fondato sulla tassa ecclesiastica, che il Codice del 1917 ricomprendeva nel paradigma beneficiale mediante il canone 1410, non ha subito rilevanti innovazioni per effetto del canone 1272 in sé e per sé considerato. Non esistendo in queste regioni benefici in senso proprio, a nostro avviso, le innovazioni verificatesi dovrebbero essere piuttosto ricondotte al novero dei principi enunciati dal Concilio e da altre norme del Codice (canone 281) ed applicati attraverso l’istituzione di un “modello contrattuale” di sostentamento del clero, regolato uniformemente a livello diocesano e tendenzialmente paritario ed equo.

Nella chiave del raffronto comparativo sviluppato nei paragrafi precedenti, rispetto al canone 1274 la «soluzione italiana» solleva poi un quesito fondamentale in ordine all’I.C.S.C. che – come si è detto – è una peculiarità del sistema voluto dalla C.E.I. e costituisce un organo di cui il Codex Iuris Canonici non fa menzione, essendosi lo stesso limitato a prevedere tutt’al più l’ipotesi di Istituti interdiocesani.

Proprio per questa via, la riforma concordataria italiana, più di quella spagnola, ha realizzato gli obiettivi indicati dal Concilio mediante l’adozione di un modello unico, gestito e regolato su scala nazionale dalla Conferenza Episcopale. In Spagna, tale centralizzazione non è avvenuta in maniera tanto accentuata, perché si sono lasciati degli spazi di discrezionalità ed autonomia ai singoli Ordinari. Da queste considerazioni ci si avvede come il dettato codicistico mantenga una sua elasticità, che rispetto alla sfera civilistica è uno dei tratti peculiari dell’ordinamento canonico.

Val la pena di richiamare, quale orientamento alternativo, la significativa dichiarazione d’intenti contenuta nel Preambolo del citato Statut financier du prêtre, approvato nel 1984 dalla Conferenza episcopale francese:

le Groupe national de travail […] s’était donné pour objectif de relancer l’étude sur les conditions matérielles de vie du prêtre diocésain […] le but [était] moins d’imposer un modèle unique que d’aider à vérifier la cohérence entre les doctrines affirmées, les intentions declarées […] et la pratique ordinaire des diocèses48.

Fermi restando l’obiettivo della perequazione delle condizioni economiche del clero ed il non disgiunto invito del canone 282 affinché «clerici vitae simplicitatem colant», i metodi e le soluzioni non sono e non potevano essere fissati aprioristicamente dal Codex, che – nel rispetto del principio di sussidiarietà – ha saggiamente lasciato alle Chiese particolari il compito di individuare le vie giuridiche più opportune per l’adeguata remunerazione del clero secondo il canone 281 § 1. In tale visuale, allora, anche il modello italiano per le caratteristiche e le attribuzioni proprie dell’I.C.S.C. può essere inteso non come una deviazione rispetto al canone 1274, ma come un’applicazione della norma, frutto di un’interpretazione «estensiva» che non ne travisa la ratio.

Visti sotto una luce critica i meccanismi legislativi italiani, che pure hanno il grande pregio di perseguire l’eguaglianza di trattamento tra i chierici come fondamento della comunione, corrono il rischio di istituzionalizzare eccessivamente l’aspetto della remunerazione del clero come diritto patrimoniale assicurato da una efficiente macchina burocratica che, più di altri sistemi, limita la corresponsabilità dei fedeli.

Ricordiamo infatti che le risorse dell’otto per mille provengono sì dalla scelta effettuata da ciascun contribuente, ma, non essendovi una diretta corrispondenza tra l’imposta versata dal singolo e la misura delle somme trasferite dallo Stato, il fedele percepisce in maniera più attenuata anche la misura della propria responsabilità nei confronti delle necessità della Chiesa a cui appartiene.

Quale tra i modelli passati in rassegna realizzi meglio il canone 222 non è questione secondaria per la vita della Chiesa. Laddove le confessioni religiose hanno optato per il completo autofinanziamento, i fedeli sono direttamente chiamati a sovvenire ai bisogni delle strutture ecclesiastiche e ne hanno di certo piena ed immediata consapevolezza.

Sulla scia di tali esperienze storiche, non è mancato chi propugnava l’adozione di un simile sistema anche per quei Paesi in cui la Chiesa gode di un consolidato rapporto con lo Stato. Questa tesi è legittima quando è formulata con il nobile fine di tutelare la libertas Ecclesiae nei confronti di un potere pubblico a volte troppo invasivo (come ad es. per il giurisdizionalismo di alcuni Cantoni della Svizzera); essa però, se condotta alle estreme conseguenze, omette di considerare che la religione cristiana ha una dimensione pubblica e comunitaria e che non può essere relegata – come vorrebbe qualcuno – al rango di un fenomeno individuale e privato.

Spetta piuttosto ai cattolici, in applicazione di un concetto più alto di corresponsabilità, non trascurare la propria presenza nella società e nella politica affinché lo Stato, rispettoso del fine per cui esiste, adempia i propri doveri nei confronti dei corpi sociali e quindi anche delle confessioni religiose, agevolandone l’esistenza e la libera attività.

1Cfr. Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, Chiesa – Stato in Europa, 147.
2Sollemnis conventio inter Apostolicam Sedem et Poloniae Rem Publicam,in AAS 90 (1998) 310-329.
3 Esiste, ad es., un sistema previdenziale di assistenza per il clero e per i religiosi che viene finanziato parzialmente dallo Stato polacco attraverso il Fondo Ecclesiastico, che venne creato nel 1950 quale riparazione per il sequestro di alcune quote del patrimonio della Chiesa cattolica.
4Sollemnis conventio inter Apostolicam Sedem et Poloniae Rem Publicam,in AAS 90 (1998) 326-327.
5Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de Iuridicialibus quaestionibus, in AAS 89 (1997) 277-287.
6Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de communicata in educationis culturaeque rebus opera, in AAS 89 (1997) 287-296.
7Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de spiritali adiumento praestando christifidelibus catholicis, copiarum militarium ac custodum Croatiae publicorum consortibus, in AAS 89 (1997) 297-302.
8Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 (1999) 170-178.
9Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de Iuridicialibus quaestionibus, in AAS 89 (1997) 285.
10Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 (1999) 171-172.
11Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 (1999) 174.
12Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 (1999) 174.
13Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 (1999) 175.
14 L’art. 8.1 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche completa significativamente la disciplina statuendo che «Gli Istituti per il mantenimento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici assicureranno i mezzi finanziari per le retribuzioni mensili del clero e degli altri impiegati ecclesiastici che lavorano nella pastorale, avendo in mente i principi di giustizia e di comunione ecclesiale» (Conventio inter Sanctam Sedem et Croatiae Rem Publicam de rebus oeconomicis, in AAS 91 [1999] 174-175).
15 Cfr. V. Parlato, «Confessionismo», 184-185.
16 Cfr. V. Parlato, «Confessionismo», 196.
17 Cfr. C.K. Papastathis, «Stato e Chiesa in Grecia», 89-90.
18C.K. Papastathis, oltre ad alcune preziose notizie sul sistema di finanziamento adottato in Grecia, espone anche interessanti rilievi critici: «the full subvention of the Church by the State is absolutely against the Holy Canons, it has communicated to the clergy the mentality of State employees, it has changed the Orthodox Church in Greece into a State agency» (C.K. Papastathis, «State Financial Support», 18)
19 Cfr. V. Canas, «Stato e Chiesa in Portogallo», 282, 284-285, 287 e 289.
20 Parte della dottrina portoghese, tra cui V. Canas, sostiene l’incostituzionalità di tali norme concordatarie. L’opinione contraria propone l’estensione dei privilegi ad altre confessioni e sviluppa l’argomento della funzione promozionale dello Stato nei confronti delle espressioni della libertà religiosa; questa tesi, tra gli altri, è sostenuta da J. Miranda,Manual, IV, 372.
21Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, Chiesa – Stato in Europa, 137-144.
22 «In Svizzera l’imposta ecclesiastica è disciplinata unicamente dall’autorità civile e non è ritenuta come in altri paesi (Germania, Austria ed anche Italia e Spagna) una res mixta» (P.V. Aimone, «Sistemi di finanziamento», 311).
23 Cfr. L. Musselli, «Il finanziamento […] : la Confederazione Elvetica», 147.
24 Cfr. B. Dafflon, «Financing the Churches», 343-347.
25 Cfr. P.V. Aimone, «Sovvenire alle necessità», 470-473.
26 L’art. 4 della legge sulle relazioni tra Chiesa e Stato nel Cantone di Friburgo, che riconosce alle diocesi ed alle parrocchie la personalità giuridica di diritto pubblico, presenta certamente dei lati positivi, infatti «pone le premesse perché diocesi e parrocchie svolgano direttamente quelle attività sinora attribuite alle Kirchgemeinden» (P.V. Aimone, «Sistemi di finanziamento», 322).
27 Per ulteriori approfondimenti sulla questione di tale imposta ecclesiastica in Svizzera e l’uscita dalla Chiesa per ragioni fiscali, utile anche per comprendere la peculiarità del sistema svizzero, si vedano le osservazioni di P.V. Aimone, «Sovvenire alle necessità», 475-494, il quale, comunque, giunge alla conclusione che: «Se si pone mente ai principi che reggono la definizione dell’imposta ecclesiastica in Svizzera e la sua riscossione, principi mutuati peraltro dal diritto statuale, in quanto l’imposta ecclesiastica resta comunque un istituto del diritto statale, non sfuggirà la fondamentale contrapposizione tra quest’ultima e l’intenzione del diritto canonico. Nel caso dell’imposta ecclesiastica infatti trattasi essenzialmente di rapporto o obbligo impersonale, sanzionato, automatico» (P.V. Aimone, «Sovvenire alle necessità», 489-490).
28 «L’estensione della tassa ecclesiastica alle persone giuridiche, anche se più volte giudicata compatibile con la Costituzione, non può fare a meno di suscitare perplessità, dato che è ben difficile configurare l’appartenenza di una persona morale ad una confessione religiosa» (L.Musselli, «Il finanziamento […] : la Confederazione Elvetica», 148).
29 Per un’analisi dettagliata dell’organizzazione dei singoli Cantoni in materia si veda: B. Dafflon, «Financing the Churches», 351-372, con utilissime appendici che schematizzano, di diversi Cantoni, gli effettivi emolumenti destinati al clero e alle Chiese locali.
30 Cfr. R. Potz, «Stato e Chiesa in Austria», 251.
31 «La legge sulle contribuzioni ecclesiastiche è entrata in vigore per le Chiese cattolica, protestante e vecchio cattolica il I maggio 1939: essa, che va vista nel contesto della lotta tra la Chiesa ed il Nazionalsocialismo, è stata incorporata in linea di principio nell’ordinamento della Repubblica austriaca» (R. Potz, «Stato e Chiesa in Austria», 272).
32 È importante ricordare come la Gran Bretagna non ha conosciuto gli effetti della Rivoluzione francese, né l’opposizione tra la Chiesa e lo Stato con i conseguenti incameramenti di beni. La Gran Bretagna è dunque caratterizzata da una lunga storia precedente dove esiste una Chiesa di Stato e non vi è una tradizione concordataria, oltre che, evidentemente, le diverse concezioni del diritto della common law rispetto al resto della tradizione europea. La struttura e costituzione della Chiesa d’Inghilterra è determinata mediante leggi statali, mentre tutte le altre confessioni religiose sono semplici associazioni prive di personalità giuridica e quindi sottratte allo stesso controllo da parte dello Stato verso la sua Chiesa (cfr. S. Ferrari, «L’esperienza inglese», 86-90).
33 Le «ecclesiastical charities» godono di un regime ancora più favorevole delle altre «charities»; ciò ha imposto la necessità di chiarire meglio quali siano i criteri che distinguono le organizzazioni che promuovono le attività religiose dalle altre. L’autorità giudiziaria, alla quale compete tale materia, ha trovato nel concetto di «fede e culto in un Dio» l’elemento ecclesiastico, mentre quello di promozione implica una certa apprezzabilità sociale. Quindi, nel diritto britannico, una comunità contemplativa non potrà ottenere i benefici di una «ecclesiastical Charities». Ai «Charity Commissioners», un collegio di alti funzionari statali, nominati dal Ministero dell’interno, il compito di tenere il registro di tali enti «iscrivendovi gli enti che presentino i requisiti richiesti dalla legge e cancellandovi quelli che li abbiano perduti, di vigilare sui beni posseduti […] è evidente che i controlli esercitati sulle “ecclesiastical charities” inglesi sono assai più ampi di quelli svolti sugli enti ecclesiastici italiani […] perché si estendono all’amministrazione e alla vita interna degli enti» (S. Ferrari, «L’esperienza inglese», 93).
34 Cfr. D. McClean, «State Financial Support», 80; cfr. D. McClean, «Stato e Chiesa nel Regno Unito», 346.
35 Costituzione Irlandese, articolo 44 comma 2, 2: «Lo Stato garantisce di non finanziare alcuna confessione religiosa» (J. Casey, «Stato e Chiesa in Irlanda», 160).
36 «Da quando la Chiesa d’Irlanda ha perso il carattere di chiesa ufficiale nel 1871, l’ordinamento giuridico irlandese ha accolto – eccetto che nel settore dell’istruzione – il principio della separazione tra Chiesa e Stato» (J. Casey, «Stato e Chiesa in Irlanda», 162).
37 Cfr. Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, Chiesa – Stato in Europa, 8.
38 Cfr. A. Pauly, «Stato e Chiesa in Lussemburgo», 216.
39 Cfr. G. Cimbalo, «Il finanziamento […] : i Paesi Bassi», 138. Cimbalo così commenta il significato degli Accordi: «si tratta di un fatto di portata storica che segna una svolta nei rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose in questo paese, accentuandone la separazione (non si può parlare a nostro avviso di completa separazione nel settore dei finanziamenti, considerando che lo Stato olandese finanzia ancora la costruzione degli edifici di culto in misura di circa il 30% del costo dell’opera e soprattutto, anche se al fine di rendere effettivo l’esercizio della libertà religiosa, la scuola confessionale)» ed ancora: «l’accordo […] decostituzionalizza definitivamente la materia, recidendo le cosiddette “catene d’argento” che legavano lo Stato alle Chiese. Affida alle Chiese l’autogestione delle proprie finanze, realizza una situazione di effettiva parità sia sotto il profilo giuridico che economico tra le Confessioni […]» (G. Cimbalo, «Il finanziamento […] : i Paesi Bassi», 137 e 142).
40 Cfr. G. Cimbalo, «Il finanziamento […] : i Paesi Bassi», 140-141.
41 «Sono previsti contributi pubblici per la riparazione e la manutenzione di monumenti di particolare antichità, e tra questi anche dei monumenti ecclesiastici» (S.C. van Bijsterveld, «Stato e Chiesa in Olanda», 240).
42 Cfr. S.C. van Bijsterveld, «Stato e Chiesa in Olanda», 231.
43 Il 5.4.1993 venne modificato l’art. 181 in tema di remunerazione dei ministri di culto a carico dello Stato, con la seguente aggiunta: «Gli stipendi e le pensioni dei rappresentanti delle organizzazioni riconosciute nelle legge che prevede servizi morali sulla base di una concezione non confessionale dell’esistenza debbono essere pagati dallo Stato; le somme necessarie a tal fine sono tratte ogni anno dal bilancio statale».
44 «Oltre ai modesti salari previsti dall’art. 181 della Costituzione pagati sul bilancio dello Stato in favore dei ministri di culto che svolgono le loro funzioni in una parrocchia o diocesi costituita con l’approvazione del governo, il riconoscimento comporta anche qualche altro vantaggio […] Lascia un po’ sorpresi che i Comuni siano tenuti a ripianare qualsiasi deficit in cui incorrano le fabbricerie: questa via d’uscita non sempre favorisce una corretta responsabilizzazione degli enti ecclesiastici» (R. Torfs, «Stato e Chiesa in Belgio»,17).
45 Cfr. Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae, Chiesa – Stato in Europa, 156.
46 Cfr. M. Heikkilä – J. Knuutila – M. Scheinin, «Stato e Chiesa in Finlandia», 309. Va osservato però che, secondo i dati del 1991, su una popolazione stimata di 5.029.002 unità, i cattolici erano censiti in 4.526 persone. In Finlandia ci sono due Chiese di Stato che raccolgono quasi la totalità degli abitanti: la confessione evangelico-luterana e la confessione greco-ortodossa; entrambe sono enti di diritto pubblico dotati di autogoverno, ma nonostante ciò il loro ordinamento interno, alcuni aspetti di natura dottrinale e le modalità di relazione con lo Stato sono stabiliti con leggi del Parlamento. Le altre comunità religiose sono invece disciplinate dalle norme di diritto privato (Cfr. M. Heikkilä – J. Knuutila – M. Scheinin, «Stato e Chiesa in Finlandia», 301 e 302).
47 Cfr. I. Dübeck, «Stato e Chiesa in Danimarca», 37, 39 e 43.
48Conference Episcopale de France, «Le Statut financier du prêtre» 124.

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