Conclusioni generali
Giunti al termine del percorso di ricerca, ove si é cercato di offrire un quadro di riferimento essenziale, sintetico ed aggiornato della materia riguardante il sostentamento del clero, si cercherà di formulare alcune conclusioni generali.
Per realizzare tale intento rivisiteremo brevemente le tappe fondamentali del nostro itinerario di ricerca segnalando alcuni punti di particolare rilievo.
1. La comunità ecclesiale delle origini
Lungo il corso del primo capitolo abbiamo cercato di ricostruire in modo sintetico l’origine storica ed i primi sviluppi delle modalità tese a sostenere adeguatamente i ministri sacri posti a servizio della comunità ecclesiale.
Tra i diversi elementi emersi ci sembra di poter sottolineare:
1.1 Fin dall’Antico Testamento è segnatamente viva l’attenzione per il sostentamento di coloro che erano dediti al ministero sacro.
Questo dato comune a tutte le civiltà antiche assunse un volto specifico nelle prime comunità cristiane.
E’ soprattutto l’Apostolo Paolo a sottolineare il diritto a vivere del ministero per coloro che sono chiamati e mandati ad annunciare il Vangelo.
1.2 Nei primi secoli della Chiesa le offerte devolute dai fedeli, che costituivano il cespite fondamentale dal quale trarre risorse di sostentamento, contribuivano, almeno in parte, al mantenimento dei chierici.
Tali offerte, però, risultavano insufficienti e perciò molti chierici, soprattutto se appartenenti a classi sociali meno abbienti, erano costretti a dedicarsi ad attività lavorative. E’ bene rammentare che i chierici non erano retribuiti in quanto tali, ma sostentati in quanto poveri e bisognosi.
1.3 Con la progressiva espansione della Chiesa dalle città alle campagne, intorno al III secolo si istituì una sorta di stipendium per il clero appartenente alle varie sedi episcopali e, soprattutto nelle campagne, si affermò l’uso di favorirne il sostentamento, mediante il donativo di alcune primizie del raccolto.
Tale usanza, unitamente a quella di versare offerte in occasione della celebrazione dei sacramenti, costituirà per un certo periodo la forma più comune di remunerazione dei presbiteri, ma darà altresì origine ad abusi, come la mercatura esercitata dai chierici e la simonia, spesso stigmatizzati dai concili locali.
1.4 A seguito dell’editto di Costantino, la Chiesa, intesa come singole comunità locali, cominciò a divenire titolare di beni immobili, i cui redditi assommati alle offerte dei fedeli, dovevano essere destinati al mantenimento dei luoghi di culto, ai poveri ed al sostentamento dei chierici.
Lo sviluppo del patrimonio ecclesiastico relativamente al moltiplicarsi delle comunità locali, delle parrocchie, dei monasteri, e di altre istituzioni ecclesiastiche, costituì l’origine del sistema beneficiale che, tra il III e il VI secolo, vide un progressivo e costante consolidamento.
1.5 Ben presto si creò una progressiva frammentazione del patrimonio episcopale.
Le Chiese rurali, dotate di patrimonio immobiliare, vennero concesse in precariato ai presbiteri che vi esercitavano il ministero, perché da tale patrimonio ne traessero il proprio sostentamento, che di conseguenza non fu più a carico del Vescovo, per mantenere i luoghi di culto, pagare le tasse ed i tributi alla sede episcopale, nonché per sovvenire alle situazioni di indigenza dei fedeli.
Si affermò quindi quella logica per la quale ad un ufficio ecclesiastico corrispondeva una particolare dotazione economica.
1.6 Con l’avvento dell’età feudale, il fenomeno delle “Chiese private” e la lotta per le investiture segnarono ulteriori tappe di assestamento del sistema beneficiale.
In breve possiamo affermare che, durante il periodo feudale, si sviluppò un sistema nel quale ai vari uffici corrispondeva un beneficio che consisteva sostanzialmente nel conferimento di terre con diritto di usufrutto.
Ben presto l’istituto del beneficio dal contesto sociale entrò gradualmente anche in ambito ecclesiastico, dapprima per le realtà più rilevanti, quali i vescovadi e le abbazie, e successivamente anche per le parrocchie.
Si creò pertanto un rovesciamento dell’ottica precedente.
Fino a quel momento solo chi aveva ricevuto un ufficio poteva usufruire del patrimonio ecclesiastico. Con l’avvento dell’istituzione beneficiale, si riceveva un ufficio in ragione del beneficio («officium sequitur beneficium»; «officium propter beneficium»).
Altro elemento degno di nota fu quello della “Chiesa privata”.
Molti proprietari terrieri, sia laici che religiosi, costruivano nell’ambito delle loro proprietà edifici di culto, che dotavano anche dei mezzi per il mantenimento del clero.
Il proprietario vantava il diritto di nominare i presbiteri addetti alla propria chiesa, anche a prescindere dall’autorizzazione ecclesiastica, esercitando il cosiddetto diritto di patronato.
Il concordato di Worms (1122), a conclusione della lotta per le investiture, abrogò ogni ingerenza laicale e restituì, progressivamente, all’autorità ecclesiastica il diritto di conferire innanzitutto gli uffici episcopali.
Dunque all’autorità religiosa competeva la nomina del titolare dell’ufficio ecclesiastico e a quella civile, nei casi previsti, il conferimento del beneficio annesso a quel medesimo ufficio.
Ciò che valeva per gli uffici superiori si estese poi, grazie a numerose disposizioni conciliari e pontificie, anche agli uffici inferiori ed alle parrocchie.