Il sostentamento del clero nel resto d’Europa
Come ultimo contributo alla ricerca che abbiamo sin qui condotto, attingendo a studi sul diritto ecclesiastico, riteniamo importante proporre per i restanti Paesi dell’Europa almeno una panoramica generale delle forme di finanziamento della religione cattolica e così, in maniera indiretta, anche dei sistemi di sostentamento del clero. È però doveroso premettere che si intende tracciare soltanto un quadro d’insieme, forzatamente povero di dettagli e tuttavia indicativo della situazione attuale della Chiesa cattolica sul continente europeo.
3.1 I Paesi dell’Est
Un primo raggruppamento di Stati con situazioni tra loro parzialmente affini è rappresentato dai Paesi dell’Est, ove una Chiesa ancora in difficilissime condizioni, pur essendo uscita dall’oppressione, deve affrontare i problemi elementari della sopravvivenza e del confronto con altre confessioni religiose tradizionalmente più strutturate. Con l’instaurazione dei regimi socialisti, infatti, non diversamente da quanto è accaduto nell’Ottocento per l’Europa occidentale, il considerevole complesso delle proprietà degli organismi ecclesiastici e religiosi dell’Est ha subito un massiccio ridimensionamento, se non una completa cancellazione.
Molte Conferenze Episcopali riferiscono ora d’aver avviato il recupero della proprietà dei beni ecclesiastici e degli stessi edifici di culto (le c.d. restituzioni), ma si tratta di un processo lungo, incerto e difficile, dal cui esito dipende anche l’evoluzione della materia di cui ci stiamo occupando.
Va detto pure che, durante la precedente stagione politica, la situazione era mitigata dal fatto che in molti casi alle confessioni religiose veniva lasciata la libera disponibilità delle offerte dei fedeli, che rappresentava – e talora ancora rappresenta – l’unica fonte di sostentamento. In alcuni Paesi, poi, lo Stato si faceva carico addirittura di stipendiare il clero; ciò avveniva però per evidenti ragioni di controllo dell’apparato ecclesiastico da parte del potere politico.
Adesso che la situazione è mutata, la Chiesa cattolica dell’Est si regge per lo più sulla solidarietà internazionale e sulle offerte dei fedeli, le quali, per l’inconsistenza del residuo patrimonio ecclesiastico, costituiscono un vero e proprio sistema spontaneo di sostentamento del clero, collegato alla celebrazione di servizi religiosi.
Vediamo però, per quanto ci è consentito dalle informazioni disponibili, le più significative peculiarità segnalate dalle Conferenze Episcopali dell’Est in merito alle questioni economiche.
3.1.1 La Federazione Russa
Nella Federazione Russa, il principale problema che la Chiesa cattolica deve affrontare è il rapporto con la Chiesa Ortodossa Russa, la quale esercita una grande influenza sull’autorità civile. Pur essendo riconosciuta la presenza dei cattolici da parte dello Stato, non esistono accordi tra la Federazione Russa e la Santa Sede; il finanziamento della Chiesa è quindi «totalmente affidato alla generosità dei singoli e delle comunità di altri Paesi» e non esiste alcun sistema di sostegno finanziario organizzato per i sacerdoti, tranne quanto viene assicurato dalla solidarietà delle Chiese di altri Paesi.
Tra i missionari, i religiosi sono mantenuti dalla propria Congregazione, mentre al sostentamento dei sacerdoti diocesani fidei donum provvede la Chiesa d’origine.
3.1.2 La Bielorussia
Simile a quella russa è la situazione che veniva descritta nel 1997 dalla Conferenza Episcopale della Bielorussia: la Chiesa non riceve alcun finanziamento dallo Stato, integra le risorse che provengono dalle offerte dei fedeli con le donazioni delle organizzazioni religiose occidentali e sono queste le due uniche fonti di mantenimento per il clero.
3.1.3 La Bulgaria, la Lettonia e la Lituania
Per la Bulgaria, la Lettonia e la Lituania, le rispettive Conferenze Episcopali riportano informazioni analoghe circa la soluzione delle questioni economiche legate all’attività pastorale; in Bulgaria, il rapporto privilegiato tra lo Stato e la Chiesa Ortodossa Bulgara, che risale sino ai tempi del regime socialista, si esplica tuttora in una serie di sovvenzioni pubbliche per il culto ed il mantenimento del clero che non sono riconosciute ai cattolici.
3.1.4 La Romania
In altri Paesi, il mutamento del regime politico non ha comportato l’abrogazione delle norme che disponevano l’erogazione da parte dello Stato di uno stipendio a favore dei ministri di culto. Resta da verificare se istituti siffatti garantiscano a sufficienza la libertà religiosa e non si traducano – come per il passato – in forme di controllo e di condizionamento dell’azione della Chiesa.
Si pensi, per esempio, al caso della Chiesa cattolica di rito latino in Romania, dove la vigente legislazione prevede che competa allo Stato di stabilire lo stipendio minimo dei chierici e delle persone a servizio della Chiesa. Dal 1990 lo Stato assicura una somma uguale a tutti i chierici e agli addetti alla Chiesa mediante la Segreteria di Stato per i culti; l’altra parte è assicurata dalla diocesi. Dallo stipendio vanno però detratte tutte le tasse e altri gravami come l’imposta per il fondo disoccupati o quella per la Cassa delle Pensioni e dell’Assicurazione sociale dei salariati della Chiesa Romano-Cattolica della Romania. La situazione è comunque particolarmente fluida, soprattutto a motivo dell’incertezza del diritto statale e della gravissima situazione economica che mina alla base il multisecolare sistema di contributi dei fedeli a livello locale e parrocchiale.
3.1.5 L’Ungheria
In Ungheria, proprio grazie alle sovvenzioni statali, l’Ordinario diocesano può assegnare a ciascun sacerdote in servizio presso la diocesi una integrazione mensile, che va a cumularsi con la remunerazione garantita dalla parrocchia presso la quale viene esercitato il ministero. Le somme erogate su base annua dallo Stato sono trasferite alla Conferenza Episcopale, la quale provvede al riparto fra le diocesi e gli ordini religiosi.
3.1.6 Le Repubbliche Ceca e Slovacca
In Cecoslovacchia, la questione del sostentamento dei ministri di culto venne regolata nel 1949, con l’introduzione della «Legge sulla sicurezza economica delle Chiese e delle associazioni religiose», secondo la quale lo Stato corrispondeva sussidi soltanto a quegli ecclesiastici che svolgessero il proprio servizio con il consenso dell’autorità civile e che avessero prestato giuramento di fedeltà.
Il 31 dicembre 1992, la Federazione cecoslovacca è stata divisa in due repubbliche indipendenti (la Repubblica Ceca e la Slovacchia) che hanno sinora mantenuto i trasferimenti di danaro pubblico alle Chiese e la corresponsione di stipendi al clero.
Al riguardo, la Conferenza Episcopale Slovacca ha segnalato che, benché gran parte del patrimonio ecclesiastico sia stato restituito a partire dal 1993, la Chiesa è costretta a valersi ancora delle sovvenzioni statali e dei salari erogati dall’erario ai sacerdoti, anche se ciò mina l’indipendenza delle istituzioni religiose e «peut devenir ainsi un moyen d’oppression envers l’Église».
3.1.7 La Polonia
Meno incerta appare la situazione vissuta dalla Chiesa in Polonia, anche perché la Costituzione prevede espressamente che i rapporti tra lo Stato, le Chiese e le associazioni confessionali siano fondati sulla base del rispetto della reciproca autonomia ed indipendenza di ognuno nel proprio ambito, in vista di una cooperazione per il bene dell’uomo e per il bene comune.
Questi principi sono stati solennemente ribaditi nel testo del Concordato tra la Santa Sede e la Repubblica di Polonia, che è stato siglato a Varsavia il 28 luglio 1993 e ratificato, soltanto cinque anni dopo, il 25 marzo 1998.
Questi dati non fanno che confermare quanto è desumibile dalla storia recente del Paese, ossia che la Chiesa polacca è in condizione di dialogare con lo Stato sulla base di un rapporto paritario. Il Concordato è redatto in lingua italiana e polacca e si compone di un preambolo e di 29 articoli. Esso stabilisce le basi per una mutua collaborazione tra la Chiesa e lo Stato. La ratifica del testo, firmato nel luglio 1993 dal governo uscente, era stata ostacolata dalla maggioranza post-comunista andata al potere nella legislatura 1993-1997.
Per quanto attiene alle questioni economiche, anche se esistono sovvenzioni statali, in Polonia il finanziamento della Chiesa avviene tradizionalmente attraverso le libere offerte dei fedeli. Mediante le offerte per la celebrazione delle Sante Messe ed i cosiddetti iura stolae (offerte fatte in occasione di battesimi, matrimoni e funerali), il clero può garantirsi quanto è necessario al proprio sostentamento; poiché però lo Stato ha accettato l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, è presumibile che da parte dell’autorità civile molti sacerdoti otterranno una remunerazione in qualità di insegnanti. Infine, l’articolo 22.2 del nuovo Concordato prevede che «le Parti Contraenti istituiranno una speciale commissione, che si occuperà dei necessari cambiamenti in materia» di «questioni finanziarie delle istituzioni e dei beni ecclesiastici nonché del clero».
3.1.8 L’Albania
Nell’area dei Balcani convivono regimi tra loro molto eterogenei. Le difficoltà della Chiesa albanese, uscita dalla persecuzione e dalla clandestinità, sono accresciute – ad esempio – dalla mancanza di una normativa che garantisca i diritti delle confessioni religiose, riconosciuti soltanto de facto e non de iure. La Conferenza Episcopale Albanese riferisce che le uniche fonti di finanziamento della Chiesa provengono dall’estero sotto forma di aiuti delle Chiese sorelle e nello stesso modo si provvede al sostentamento del clero, salve le entrate rappresentate dalle liberalità dei fedeli.
3.1.9 La Croazia
Sempre nella zona balcanica, la Conferenza Episcopale Croata, istituita nel 1993 dopo lo scioglimento della ex Jugoslavia, è stata ufficialmente riconosciuta dallo Stato a seguito dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche, firmato a Zagabria il 19 dicembre 1996. Nella stessa data sono stati conclusi anche l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa la collaborazione in campo educativo e culturale e l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa l’assistenza religiosa ai fedeli cattolici, membri delle forze armate e della polizia della Repubblica di Croazia. Successivamente, il 9 ottobre 1998 è stato siglato l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche, per dare attuazione a quanto disposto nell’articolo 17.4 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche, ove si prevedeva che «le competenti autorità della Repubblica di Croazia e le competenti autorità ecclesiastiche stabiliranno di comune accordo i sussidi economici che la Repubblica di Croazia fornirà alle istituzioni della Chiesa cattolica al servizio del bene comune della società».
L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche del 1998 contiene in sintesi: alcune esenzioni fiscali per le entrate e le rendite del patrimonio ecclesiastico; la restituzione da parte dello Stato dei beni della Chiesa espropriati durante il regime comunista jugoslavo ovvero una compensazione in denaro, qualora non sia possibile restituire parte degli immobili; il trasferimento annuale alla Chiesa di una somma di denaro pubblico «riconoscendo di pubblica utilità il lavoro da essa svolto nei campi culturale, educativo, sociale ed etico» (articolo 2.2).
Si tratta dunque di un sistema di sovvenzione diretta, di cui i successivi articoli dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche precisano i dettagli. L’articolo 6.2 indica infatti che la Repubblica croata assicurerà mensilmente alla Chiesa «dal bilancio annuale statale, la somma corrispondente a due stipendi medi lordi moltiplicati per il numero delle parrocchie esistenti»; il numero 4 dello stesso articolo specifica che tale somma include «oltre alle spese per il mantenimento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici» anche quelle per la costruzione delle chiese e dei centri pastorali.
L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni economiche contiene anche degli elementi di disciplina che ricadono più propriamente in ambito canonico laddove stabilisce che «per una equa distribuzione delle menzionate erogazioni la Conferenza Episcopale Croata erigerà l’Istituto Centrale per il sostentamento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici. Lo stesso faranno anche tutte le diocesi per il proprio territorio» (articolo 7.2). Conseguentemente, «la somma erogata verrà trasmessa mensilmente all’Istituto Centrale della Conferenza Episcopale Croata per il sostentamento del clero e degli altri impiegati ecclesiastici» (articolo 6.5).
3.2 La Grecia
La condizione della Chiesa cattolica in Grecia va inquadrata nel contesto più ampio della politica ecclesiastica dello Stato; infatti la Costituzione del 1975, in continuità con le precedenti carte costituzionali, proclamava la confessione cristiana ortodossa quale religione ufficiale dello Stato, confermando così la preminenza giuridica della confessione religiosa largamente maggioritaria e tanto legata alla tradizione, alla identità ed alla storia della Nazione da poter condizionare anche gli orientamenti della vita politica del Paese. É dunque questo il presupposto del considerevole sostegno finanziario pubblico accordato in maniera esclusiva alla Chiesa ortodossa greca, che si esplica attraverso una serie di sovvenzioni dirette, di esenzioni fiscali ed altre agevolazioni e soprattutto mediante il pagamento degli stipendi del clero.
Lo Stato greco si accolla infatti quasi interamente il finanziamento della religione prevalente, mentre, con una politica discriminatoria, non riconosce alcuna forma di sovvenzione economica alle altre Chiese e confessioni religiose.
Con i fondi pubblici vengono regolarmente corrisposti degli stipendi ai prelati, ai ministri di culto ed ai diaconi in servizio presso le parrocchie, ai predicatori ed anche ai laici che sono impiegati nella Chiesa ortodossa. Il sistema di remunerazione è organizzato in quattro livelli retributivi a seconda del grado di istruzione; come contropartita, lo Stato riceve dalla Chiesa il 35% delle entrate delle parrocchie, ma tale somma è di molto inferiore all’esborso complessivamente sostenuto dal bilancio pubblico.
Un simile modello, oltre a ledere i diritti dei contribuenti che siano atei o appartengano ad altre confessione religiose, è giudicato da molti contrario alla natura stessa della Chiesa che, abdicando alla propria autonomia, corre il rischio di divenire un’agenzia territoriale dello Stato. É indubbiamente significativo in tal senso che l’autorità civile, secondo la Costituzione, abbia il diritto di regolare per legge tutte le questioni amministrative ecclesiastiche.
3.3 Il Portogallo
Per restare nell’area mediterranea, in Portogallo, il Concordato del 1940 non prevede alcuna forma di sovvenzione statale per il culto ed il sostentamento dei sacerdoti, cosicché, sulla base delle elargizioni dei fedeli e delle rendite degli immobili di proprietà della Chiesa, sono le comunità parrocchiali a provvedere alla remunerazione del clero e l’intervento della diocesi è solo sussidiario.
Sull’evoluzione del diritto ecclesiastico portoghese, Vitalino Canas, in uno studio per il Consorzio europeo di ricerca sui rapporti tra Stati e confessioni religiose, ha evidenziato come, nonostante che la Costituzione portoghese del 1976 abbia affermato la neutralità dello Stato e l’uguaglianza delle religioni, la Chiesa cattolica fruisca ancora di privilegi particolari, tra cui spicca l’esenzione generalizzata dalle imposte sia locali che nazionali.
3.4 La Repubblica di Malta
Anche la Repubblica di Malta non ha un sistema di finanziamento pubblico della Chiesa ed il sostentamento del clero avviene attraverso il Fondo del Clero delle Diocesi, cioè con l’autofinanziamento; tale Fondo garantisce una remunerazione regolare ai sacerdoti ed ai diaconi impegnati a tempo pieno nell’attività pastorale, utilizzando i seguenti cespiti: gli investimenti delle fondazioni per il clero (tra cui i benefici ecclesiastici ed i lasciti); le contribuzioni delle parrocchie e degli enti ecclesiastici presso cui i sacerdoti svolgono il loro ministero; le elemosine per la celebrazione di Messe.
3.5 La Svizzera
In Svizzera invece, nella maggior parte dei Cantoni sono in vigore dei concordati che attribuiscono all’autorità civile il potere di riscuotere la tassa ecclesiastica per conto della Chiesa, secondo un modello non dissimile da quello tedesco. La materia delle tasse ecclesiastiche è rimessa alla esclusiva competenza cantonale. In merito l’articolo 49 della Costituzione Federale dispone che «nessuno è tenuto a pagare aggravi d’imposta a causa propria e particolare dell’esercizio del culto di un’associazione religiosa alla quale non appartiene»; il medesimo articolo prevede anche una legge quadro generale che però, a distanza di un secolo, non è ancora stata emanata.
Più in generale, secondo l’articolo 3 della Costituzione federale, tutta la materia dei rapporti tra Chiesa e Stato compete ai Cantoni; di questa competenza i Cantoni fanno uso in modo vario e assai diverso, a seconda delle loro peculiari tradizioni storiche. Ciò incide naturalmente anche sulla materia della remunerazione dei ministri di culto che varia tra Cantone e Cantone a seconda della normativa e della pratica vigente. Il particolarismo è infatti un tratto marcato dell’ordinamento elvetico; si pensi, ad esempio, che nella diocesi di Basilea, che comprende dieci Cantoni svizzeri, l’Ordinario del luogo deve curare gli interessi della diocesi misurandosi con dieci diverse discipline giuridiche. Ne risulta una situazione difficile e complicata.
Mentre in due Cantoni (Ginevra e Neuchâtel) esiste – in seguito a un plebiscito – una completa separazione tra Stato e Chiesa e non vige l’imposta sul culto, negli altri Cantoni vi sono invece vari gradi di collaborazione tra i due ambiti, che spesso però assumono i tratti del giurisdizionalismo da parte dello Stato.
La maggior parte dei Cantoni svizzeri garantisce alle confessioni principali – Chiesa evangelico riformata e Chiesa cattolica romana – uno status di diritto pubblico. Se ciò attribuisce il diritto di riscossione delle tasse ecclesiastiche, tuttavia obbliga le chiese a dotarsi di strutture regolate dalle norme dello Stato (Kirchgemeinde); si tratta di enti di diritto ecclesiastico che non coincidono con le parrocchie ed a cui è imposta una costituzione democratica che non sempre riflette l’autentica natura degli organismi ecclesiali secondo il diritto canonico.
Anche le Chiese cantonali (Landeskirchen), un altro istituto di derivazione concordataria, sono corporazioni di diritto pubblico indipendenti dalle diocesi, disciplinate dal diritto ecclesiastico statale ed orientate in direzione sovradiocesana. Ciò pone non poche questioni, perché sono questi enti ad essere titolari dell’imposta sul culto e ad assicurare la base materiale per la cura pastorale: avviene cioè che i sacerdoti sono incaricati dal Vescovo, ma sono impiegati e stipendiati della Kirchgemeinde.
In sintesi sono dunque tre le fonti di finanziamento delle chiese cantonali: la tassa ecclesiastica sugli appartenenti alla confessione religiosa (Kirchensteuer); la tassa ecclesiastica sulle persone giuridiche, peculiarità tutta elvetica e presente solo in alcuni Cantoni; i contributi degli enti pubblici. La retribuzione dei sacerdoti avviene da parte delle Kirchgemeinden e delle chiese cantonali; ma esistono anche dei Cantoni nei quali lo Stato si fa carico di una parte o anche di tutti gli stipendi del clero (Berna, Vaud, Zurigo, Vallese). La questione del sostentamento del clero in Svizzera non è dunque regolata a livello di Conferenza episcopale e neppure statualmente a livello nazionale, bensì dipende dalle singole Chiese cantonali ovvero dalla Chiesa diocesana nel suo rapporto, nei singoli Cantoni, con le strutture statali ecclesiastiche.
3.6 L’Austria
In Austria, vige ancora il Concordato siglato con la Santa Sede il 5 giugno 1933, successivamente integrato da una serie di trattati addizionali. Per quanto attiene ai profili economici, oltre a ricevere dei versamenti annuali dallo Stato come indennizzo dei danni conseguenti all’occupazione nazista, la Chiesa ha il diritto di riscuotere l’imposta ecclesiastica presso i suoi fedeli e di accedere all’elenco dei contribuenti. La determinazione dell’ammontare della contribuzione e delle modalità di riscossione sono rimesse all’autonomia delle confessioni religiose, che provvedono con apposite ordinanze alle quali lo Stato riconosce carattere vincolante.
3.7 La Gran Bretagna
Le Chiese cattoliche di Inghilterra e di Scozia sovvengono alle proprie necessità soprattutto grazie alle offerte dei fedeli ed alle rendite del patrimonio ecclesiastico. L’unico significativo fattore di sostegno pubblico è di natura squisitamente tributaria; le diocesi, le congregazioni religiose e molte altre opere della Chiesa rivestono infatti nel diritto pubblico lo status di charities, sono cioè enti non commerciali aventi scopi benefici, ai quali viene garantito un regime agevolato sotto diversi profili: esenzione dai tributi locali per gli immobili e deducibilità fiscale delle donazioni.
3. 8 L’Irlanda
In Irlanda, nonostante la popolazione sia a grande maggioranza cattolica, la Costituzione proibisce il finanziamento delle confessioni religiose e pertanto non vi sono sovvenzioni pubbliche, ad eccezione dei contributi per il restauro di edifici di culto a rilevanza storica. Nel citato questionario del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, la Chiesa irlandese si limitava a segnalare che al sostentamento del clero si provvede attraverso la raccolta settimanale delle offerte dei partecipanti alla messa.
3.9 Il Lussemburgo
In Lussemburgo, ove circa il 90% della popolazione appartiene alla religione cattolica, la Costituzione garantisce che gli stipendi e le pensioni degli ecclesiastici e degli altri ministri titolari di un ufficio ecclesiastico siano fissati per legge e pagati dallo Stato (articolo 106 della Costituzione del 1868).
3.10 I Paesi Bassi
Nel 1983, nei Paesi Bassi si è realizzata una riforma generale della Costituzione che ha interessato anche la materia della libertà religiosa. A partire dal 1984, con l’entrata in vigore degli Accordi stipulati tra lo Stato e le confessioni religiose, si è infatti verificata l’estinzione del rapporto finanziario tra Stato e Chiese in virtù del quale lo Stato era tenuto a corrispondere ai ministri di culto gli stipendi e le pensioni, obbligo che era in precedenza sancito da una specifica disposizione costituzionale come riparazione alla confisca dei beni ecclesiastici.
Contestualmente al superamento di questo sistema, gli Accordi hanno istituito una Fondazione interecclesiale per la cura degli interessi del riscatto a cui lo Stato ha conferito un’adeguata dotazione per finanziare il pagamento delle pensioni dei ministri di culto.
Pertanto, anche se lo Stato olandese finanzia una parte delle opere per la costruzione e per il restauro degli edifici di culto, sono ormai i fedeli a sostenere le necessità della Chiesa e del clero e ciò avviene esclusivamente nell’ambito di rapporti regolati dal diritto privato, perché in Olanda le confessioni religiose sono persone giuridiche di diritto civile.
3.11 Il Belgio
Molto singolare appare il sistema del Belgio, ove le relazioni tra Chiesa e Stato sono in larga parte disciplinate dalla Costituzione del 1831, secondo cui lo Stato provvede direttamente alla retribuzione dei ministri di culto delle sei religioni riconosciute (cattolica, anglicana, protestante, ortodossa, ebraica e musulmana) ed anche – a partire dal 1993 – dei rappresentanti delle organizzazioni umanitarie.
Questa ultima modifica dà l’idea dell’avanzato processo di secolarizzazione in corso nelle società nordeuropee che, in più nazioni, per converso ha indotto la Chiesa cattolica ad accentuare il ruolo svolto dagli operatori pastorali laici. Proprio su questo tema, la norma sulle organizzazioni umanistiche ha aperto un dibattito volto ad ottenere l’inclusione dei laici che operano per le confessioni religiose tra gli stipendiati dallo Stato. Affinché la remunerazione venga corrisposta occorre che i sacerdoti ed i diaconi della Chiesa cattolica svolgano un servizio riconosciuto dalla pubblica autorità; mentre ulteriore sostegno deriva dalle amministrazioni comunali e provinciali, che sono proprietarie degli edifici di culto e in quanto tali garantiscono gratuitamente o a condizioni di favore le abitazioni al clero residente. Gli enti locali sono inoltre tenuti per legge a ripianare eventuali passività in cui fossero incorsi gli organismi territoriali delle singole confessioni religiose.
3.12 La Scandinavia
Le Chiese dell’area scandinava (Islanda, Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia) hanno riferito al Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, nel corso della citata Assemblea di Czestochowa, che la confessione cattolica ha come unica fonte di sostegno i contributi volontari dei fedeli e che la retribuzione dei sacerdoti è compito delle diocesi e delle rispettive comunità. Ciò non significa che in quei Paesi sia in vigore un regime separatista nei confronti di tutte le confessioni religiose, dal momento che in Finlandia – ad esempio – lo Stato paga gli stipendi e le pensioni dei vescovi luterani ed ortodossi e riconosce soltanto a queste due chiese il diritto di riscuotere la tassa ecclesiastica.
3.12.1 La Danimarca
In Danimarca, inoltre, un consistente sostegno pubblico viene assicurato annualmente ed in via esclusiva alla Chiesa luterana; mentre le altre confessioni religiose sono considerate dallo Stato come istituzioni private indipendenti, che possono chiedere il riconoscimento governativo esclusivamente al fine di vedere garantita dall’ordinamento civile la validità giuridica di alcuni atti e sacramenti come il matrimonio. Il riconoscimento però non dà diritto a ricevere alcun aiuto economico da parte dello Stato.