Fase conciliare

Con la solenne cerimonia d’apertura del 14 settembre 1964, iniziava ufficialmente il III periodo del Vaticano II.

Pochi giorni dopo l’inaugurazione, il 7 ottobre 1964, venne distribuita in Aula la Relatio super schema emendatum propositionum de sacerdotibus quod nunc inscribitur de vita et ministerio sacerdotali159.

I punti che interessano il nostro lavoro sono i seguenti:

9. [Fines ad quos bona in Ecclesia destinantur] [olim 7] Al testo furono aggiunti nuovamente il divieto di utilizzare i redditi dell’ufficio ecclesiastico per arricchire il patrimonio familiare, l’esortazione ai sacerdoti a non essere legati ai beni materiali nonché la raccomandazione di astenersi «ab omni specie mercaturae»160.

10. [Officiis ecclesiasticis princeps locus in iure tribuendus] [olim 8] Nel testo, oltre ad intervenire con alcune modifiche lessicali, si sottolineò, con due incisi, sia la denominazione di «sistema beneficiale», sia la prevalenza in esso dell’importanza del beneficio sull’ufficio161.

11. [Aequa remuneratio clericis providenda] [olim 9] Il testo rinnovò la richiesta ai vescovi di provvedere ad un equo sostentamento dei chierici, esortandoli affinché istituissero norme comuni a più diocesi per disciplinare la materia162.

12. [Massa communis bonorum in singulis dioecesibus costituenda] [olim 10] Il testo, mantenendo l’invito ai vescovi alla costituzione di una «massa comune» diocesana, aveva voluto rafforzare l’esortazione alle diocesi più ricche ad aiutare le più povere163.

La Relatio super schema emendatum propositionum de sacerdotibus quod nunc inscribitur de vita et ministerio sacerdotali venne sottoposta alla discussione durante le Congregazioni generali 100ª, 101ª, 102ª dal 13 al 15 ottobre164.

Nella sua Relatio, tenuta all’inizio della Congregatio Generalis C, l’arcivescovo di Reims, F. Marty, motivava il cambiamento del titolo dello schema divenuto De vita et ministerio sacerdotali165 e sottolineava l’attenzione avuta nei riguardi delle direttive impartite dalla Commissione «De Concilii laboribus coordinandis» nonché delle osservazioni proposte dai Padri Conciliari166.

L’arcivescovo di Reims, per l’esame analitico dei punti dello schema, rimandava alla Relatio de singulis propositionibus167.

Mons. Marty sottolineava che l’attenzione della Commissione, di fronte all’apostolato sacerdotale, era stata improntata più alla proposta di soluzioni che non alla denuncia delle difficoltà168.

L’Arcivescovo ricordava ai sacerdoti la necessità di testimoniare con la propria vita l’annuncio evangelico, di mantenere il celibato e di curare la preparazione intellettuale.

Essi dovevano curare la vita liturgica come fonte di pietà, e lo spirito di povertà ad imitazione del Cristo169.

Mons. Marty sosteneva la necessità di una radicale riforma del sistema beneficiale, per evitare un «infeudamento» della Chiesa e la conseguente distinzione di «classe sociale» tra i chierici170.

L’Arcivescovo riteneva doveroso costituire una «massa diocesana dei beni», atta alla congrua remunerazione dei chierici e alla loro previdenza sociale171.

La discussione relativa al De vita et ministerio sacerdotali si estese alle Congregazioni 101ª e 102ª nelle quali, se i giudizi furono generalmente positivi, vennero pero’ anche espresse numerose riserve da parte dei Padri.

Le parole del card. Meyer riassunsero in maniera chiara la posizione comune dei giudizi sullo schema: «schema propositionum […] in toto suo complexu minus placet vel placet iuxta modum. Hoc dicitur non quia singulae propositiones non sint generatim in se bonae, sed potius quia non facile eruitur scopus praecisus huius schematis»172.

Le riserve dei Padri si concentravano sulle modalità di interpretazione dello schema, la cui finalità e le cui linee d’indirizzo non parevano molto chiare. Riguardo alla nostra materia permanevano alcune ambiguità: la proposta di una «massa comune», ad esempio, si scontrava con l’estrema disparità economica tra varie diocesi. Non meno ambigua era la posizione sul sistema beneficiale, in relazione al quale ci si chiedeva se fosse da «correggere» o da «eliminare».

Durante la Congregatio generalis C alcuni Padri espressero riserve sulle questioni della remunerazione e dei benefici.

Ataún:

 

Consentaneum videtur ut Concilium commissioni reformandi Codicis praebeat aliquid gravius quam simplicem commendationem, quod attinet ad hodiernum systema beneficiorum […] Verum si dicimus, in Concilio maxime omnium pastorali, vix explicari potest nostrorum capitulorum in ecclesiis cathedralibus temperatio: ut sint beneficia sine officiis, eaque esse debent practica, necessitatibus pastoralibus huius temporis, ita mutabilis, aptata173;

Hiltl: «[…] satis providere non potest nisi in regionibus Ecclesiae oeconomice quodammodo constitutis et a regimine civili non nimis suppressis […]»174;

Komba: «loco «relicto systemate», forsitan melius diceretur «relicto usu», vel «relicta consuetudine»»175;

Kuhari:

 

Cur definire quamdam immutabilitatem istius systematis? Systema beneficiale maxime florebat tempore feudalismi. Experientia historiae docet quod beneficia beneficiatos ab officiis spiritualibus ad curas terrestres trahebant […]. Ergo propono: si in hoc S. Concilio adhuc non audetur commutare «relicto» in «abiecto systemate», inseratur saltem in textum: «pro nunc relicto» vel «commutando systemate» vel «reformando»176.

 

Vi fu anche chi – su tale argomento – propose di sospendere ogni discussione fino a quando il Codex Iuris Canonici non fosse stato riformato177 o fino a quando le singole Conferenze Episcopali non si fossero occupate della questione.

Oggetto di discussione furono altresì i diritti di stola; ci si chiese se la loro costituzione «ontologica» dovesse rimanere immutata o piuttosto essere abolita o ridisciplinata178.

Alcuni Padri nei loro interventi trattarono della previdenza sociale, suggerendo di creare un fondo d’accantonamento sufficiente a far fronte ad eventuali situazioni d’inabilità di servizio179.

Il De vita et ministerio sacerdotali, dopo essere stato rielaborato secondo le osservazioni dei Padri, fu votato in Aula il 19 ottobre 1964 ricevendo 930 placet e 1199 non placet180.

Il 20 ottobre 1964 l’arcivescovo Francesco Marty, a nome della «Commissio de disciplina cleri et populi christiani», domandò alla «Commissio de Concilii laboribus coordinandis» se lo Schema dovesse essere corretto e completato con nuove proposizioni, o se fosse opportuno riformularlo ex novo.

Il 22 ottobre 1964 la «Commissio de Concilii laboribus coordinandis» rispose al quesito stabilendo che lo Schema dovesse rimanere «sub forma propositionum», con l’aggiunta di un proemio teologico-pastorale, che le proposizioni dovessero essere emendate alla luce delle «suggestiones» dei Padri, e che fossero aggiunte nuove proposizioni «iuxta Patrum exposita desideria»181.

Lo schema, divenuto De ministerio et vita presbyterorum, venne distribuito ai Padri riuniti nella Congregazione generale 127ª, il 20 novembre 1964, per essere nuovamente sottoposto alla discussione.

L’arcivescovo di Reims, F. Marty, nella sua relazione al nuovo Schema, redatta il 12 novembre 1964, motivò le novità introdotte alla luce di due necessità pastorali:

 

Necessarium demum visum est et alios aspectus vitae Presbyterorum, magna quidem utilitate pastorali pollentes, hoc nostro in textu considerare, cuiusmodi sunt aequa remuneratio Presbyterorum, nec non cura gerenda de iis qui infirmitate, vel invaliditate, vel senectute laborant, ut omnes sacerdotes, sine sollicitudine de sorte futura, sensu evangelico animarum saluti penitus se tradere atque etiam paupertatem colere valeant182.

 

La nuova redazione dello Schema non aveva portato un cambiamento radicale rispetto al testo dello Schema propositionum de vita et ministerio sacerdotali183. Venivano confermate tuttavia le novità che questo aveva introdotto rispetto allo schema De sacerdotibus ritornando per alcuni aspetti a quanto aveva previsto il De clericis.

Erano soprattutto i numeri 17, 18 e 19 dello Schema a riguardare il nostro lavoro.

17. [Aequa remuneratio Presbyteris providenda] [olim nn. 11 Aequa remuneratio clericis providenda e 10 Officiis ecclesiasticis princeps locus in iure tribuendus] La sostituzione di «clericis» con «Presbyteris» nel titolo rispecchiava l’aggiunta di questo termine all’inizio del testo.

Questa modifica rifletteva l’approfondimento teologico che stava avvenendo nell’assise conciliare, dove l’uso del termine dal significato più ampio e decisamente neotestamentario di presbitero, si preferiva, a quello più circostanziato nella sfera del sacro di sacerdote.

Il testo aveva unificato due numeri precedenti (11 e 10 posposti nel testo), sottolineando che il servizio di Dio dei presbiteri si compisse nella figura giuridica dell’officium184.

Si auspicava che i Vescovi dovessero curare, sia singolarmente nella propria diocesi, sia più opportunamente uniti per un territorio comune, la promulgazione di norme circa «honesta[e] sustentatio[ni] atque congrua[e] pensio[ni]», di quanti svolgevano un ministero «in populi Dei servitium».

Riferendosi inoltre alla cura che i Vescovi avrebbero dovuto prestare verso i sacerdoti più bisognosi, ricordava la precipua attenzione verso i poveri che la Chiesa ha sempre manifestato, «teste diaconatus institutione» (cfr. At 6,1-6).

Si ritenne opportuno sottolineare l’importanza dell’ufficio inteso come svolgimento del sacro ministero185, auspicando che il sistema beneficiale fosse definitivamente soppresso186.

18. [De recto usu bonorum] [olim n. 9 Fines ad quos bona in Ecclesia destinantur] Il testo, come evidenziato dal titolo, sottolinea l’obbligo per i presbiteri di utilizzare i beni temporali «tantummodo eos in fines, ad quos iuxta Christi Domini doctrinam Ecclesiaeque ordinationem destinari valent».

Il testo distingue in seguito due categorie di beni.

a) I «bona ecclesiastica proprie dicta», che dovevano essere regolati «ad normam legum ecclesiasticarum» e sempre destinati per quei fini che ne giustificavano il possesso da parte della Chiesa187.

b) I beni riferibili all’«exerciti[um] alicuius ecclesiastici officii», per i quali si raccomanda che sia i presbiteri che i vescovi, dopo averli utilizzati «imprimis ad suam honestam sustentationem et ad officiorum proprii status adimpletionem», dovessero destinarne il superfluo «in bonum Ecclesiae vel in opera caritatis»188.

19. [Praevidentia socialis in favorem Presbyterorum] [olim n. 12 Massa communis bonorum in singulis dioecesibus constituenda]

Il testo, nella prima parte, apporta alla precedente versione numerose modifiche, supportate da alcune citazioni neotestamentarie.

Dopo un richiamo ai presbiteri alla proprietà comune dei beni del periodo apostolico (cfr. At 4,32 e 4,35), ricorda che, in votis, sarebbe stato auspicabile la creazione di una «massa comune» «in singulis dioecesibus vel regionibus».

Si raccomanda ancora l’obbligo delle diocesi più ricche di aiutare le più povere (cfr. 2 Cor 8,14) e si sottolinea che la «massa comune» sia costituita principalmente «ex bonis a fidelium oblationibus provenientibus», oltre che «ex aliis quoque fontibus, iure determinandis».

Dopo aver trattato della «massa comune», si affronta la tematica relativa alla previdenza sociale del clero.

Negli stati ove «praevidentia socialis in favorem cleri nondum apte ordinata est», le Conferenze Episcopali debbono curare la creazione di istituti o associazioni che, «sub vigilantia Hierarchiae», provvedano segnatamente sia «congruenti praecaventiae et assistentiae sanitariae» sia con equo sostentamento ai presbiteri, «qui infirmitate, invaliditate, aut senectute laborant».

I sacerdoti debbono cooperare con l’istituto, «moti spiritu solidarietatis erga fratres suos»189.

In seguito alle osservazioni scritte presentate da oltre duecento Padri, rappresentanti di trenta nazioni190, il testo venne rivisto nell’aprile del 1965 e approvato dal Papa Paolo VI in data 28 maggio.

Il medesimo fu inviato ai Padri conciliari il 12 giugno 1965, con il titolo: Schema decreti de ministerio et vita presbyterorum, composto dal Textus recognitus e dalle Relationes191.

La discussione dello Schema fu preceduta dalla lettura in Aula della Relatio generalis introduttiva (13 ottobre, 148a Congregazione generale), distribuita in precedenza ai Padri (11 ottobre), dove non si fece alcun cenno alla materia di cui ci occupiamo192.

Durante la medesima sessione, tuttavia, furono prese in considerazione alcune delle più importanti ed interessanti animadversiones avanzate dai Padri e furono spiegati i criteri e le motivazioni che portarono ad accogliere o a respingere determinati suggerimenti193.

Perciò la discussione vera e propria iniziò solo il 14 ottobre, proseguendo durante i giorni 15, 16, 25, 26, 27 ottobre (149a-154a Congregazione generale). Il lavoro fu piuttosto intenso: intervennero infatti cinquantasette Padri194, mentre numerosi altri consegnarono i loro interventi per iscritto195, non avendo potuto o voluto parlare196.

In seguito alle animadversiones presentate, lo Schema fu rielaborato e distribuito nuovamente in Aula il 9 novembre 1965197.

Nei giorni 12, 13 e 15 novembre si procedette alle votazioni sul proemio e sui capitoli dell’intero Schema (159a, 160a e 161a Congregazione generale)198: in base alle indicazioni emerse, lo Schema fu rivisto e ridistribuito ai Padri il 30 novembre, durante la 165a Congregazione generale.

Il 4 dicembre 1965 venne presentato l’esito delle votazioni circa lo Schema199 che, presentato in Aula nella nuova edizione il 7 dicembre 1965200, fu votato durante la medesima Congregazione, ottenendo 2390 «placet» e 4 «non placet» su un totale di 2394 votanti201 giungendo così al Decretum de Presbyterorum Ministerio et Vita – Presbyterorum ordinis202.

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