Fase preparatoria
Il 5 giugno 1960, giorno di Pentecoste, Giovanni XXIII emanava il m.p. Superno Dei nutu, che istituiva dieci commissioni preparatorie. Esse erano incaricate di redigere gli schemi da proporre per la discussione in assemblea, alla luce dei suggerimenti ricevuti durante la consultazione antepreparatoria92.
La materia dei benefici ecclesiastici era trattata in due schemata: l’uno relativo alla cura delle anime e l’altro relativo ai chierici93.
Nel primo Schema decreti de cura animarum, il tema della remunerazione del parroco venne trattato solo marginalmente ai punti 16-18 del secondo capitolo. In essi, accanto ai parametri suggeriti per l’incardinazione, si accennava anche al pensionamento94.
Più precisamente la questione della remunerazione era trattata nell’Appendix Prima del documento, al punto 9 «Praelati munus», quando, descrivendo «titulo Praelaturae seu Missionis nationalis vel regionalis» si affermava:
onus tandem Praelato incumbit providendi decorae sustentationi eorum, quos promoverit […] cui consulendum est per conventiones cum Ordinariis dioecesium ad quas sacerdotes Praelaturae destinentur, vel per bona propria Praelaturae, vel aliis mediis idoneis95.
Nell’Appendix Secunda al punto 23, del capitolo II, «Sollemnitas in Sacramentis administrandis et taxarum substitutio», si trovava la seguente affermazione:
summopere etiam probandum est conamen omne quo minui vel etiam tolli possint taxae, quae occasione Sacramentorum vel sacramentalium persolvi solent, ne argui possit Ecclesia de pecuniae quaestu vel lucro.
Si precisava che «taxae laudabiliter substitui potuerunt liberis fidelium oblationibus» se la Conferenza episcopale nazionale o provinciale lo avesse ritenuto opportuno. Veniva inoltre sottolineato il triplice scopo delle oblazioni: culto di Dio, sostentamento dei presbiteri e aiuto dei poveri96.
Nell’Appendix Secunda al punto 34 § 2, del capitolo III, «Ratio sacerdotes applicandi ad apostolatum laicorum», si afferma che il Vescovo debba scegliere con grande cura i sacerdoti veramente idonei, considerando la loro indole ed attitudine, «audito etiam prudentium laicorum consilio», e provvedere al loro congruo sostentamento97.
Nell’Appendix Tertia al punto 1 del capitolo I, «De Parochorum obligationibus», si proponeva la modifica del canone 451 del Codex Iuris Canonici, precisando che il parroco non poteva essere persona morale e che «paroecia parocho non confertur in titulum, ad modum alicuius beneficii ecclesiastici, sed parocho confertur officium paroeciale»98.
Quanto detto sopra costituiva un primo esempio della direzione in cui tendevano a muoversi le istanze dei Padri.
Lo Schema decreti de clericis (1963), alla cui elaborazione storica si è accennato nell’Introduzione del presente capitolo, riveste, su quest’argomento, un interesse maggiore.
In particolare lo schema De officiis et beneficiis ecclesiasticis deque bonorum ecclesiasticorum administratione99, che trattava più direttamente la nostra materia, era stato approvato definitivamente nella Sessione Generale tenutasi nei giorni dal 17 al 22 luglio 1961100.
Lo schema De officiis fin dal proemio prendeva atto del fatto che «in iure communi nunc vigente normae accuratae desunt de aequa remuneratione omnibus clericis tribuenda».
Costatando inoltre che alcuni chierici assolvevano incarichi senza beneficio, e che molti beneficiati non distribuivano i frutti superflui «pro pauperibus aut piis causis», riteneva conveniente «ut […] defectibus aptum et opportunum remedium afferatur».
Sembrava opportuno altresì richiamare, «in toto orbe catholico», l’attenzione sulla necessità che a tutti i chierici fosse prestata un’adeguata assistenza sanitaria, e fosse attribuita una pensione per il tempo in cui, «senectutis vel invaliditatis causa», non potessero assolvere all’ufficio ecclesiastico.
Si faceva presente inoltre l’urgenza e l’opportunità che i beni temporali della Chiesa «recte semper ac tute administrentur», affinché non ne venisse un danno alle chiese, ma fossero perseguite più largamente e diffusamente opere di pietà e di carità101.
Dopo questo proemio, lo schema constava di due parti: «De officiis et beneficiis ecclesiasticis», di undici proposizioni e «De administratione bonorum ecclesiasticorum», di quattordici proposizioni.
«De officiis et beneficiis ecclesiasticis»102.
I. Proponeva la modifica del canone 145 § 2 del Codex Iuris Canonici103.
II. Proponeva l’integrazione del canone stesso con ulteriori 5 paragrafi.
Nel § 3 stabiliva che l’erezione dell’ufficio ecclesiastico avvenisse «ipso iure aut decreto Superioris ecclesiastici», dai quali fossero definiti «obligationes et iura stabiliter eidem adnexa».
Nel § 4 si ricordava che tra gli uffici ecclesiastici il Sommo Pontificato e l’Episcopato a lui subordinato erano d’istituzione divina; gli altri uffici erano istituzioni solo ecclesiastiche104.
Nel § 5 si enumeravano gli uffici ecclesiastici che si potevano erigere105.
Nel § 6 si disponeva che il Superiore, prima dell’erezione del nuovo ufficio ecclesiastico, per prudenza non dovesse omettere di consigliarsi con coloro ai quali «maxime interest»106.
Nel § 7 si enunciava la tipologia degli uffici ecclesiastici: «sunt residentialia vel non residentialia, curata vel non curata, saecularia vel religiosa, stabiliter vel ad tempus commissa, liberae vel necessariae collationis, reservata vel non reservata».
III. Proponeva di delimitare meglio lo «ius percipiendi reditus» del beneficiario, aggiungendo al canone 1409 il seguente inciso «sive ex toto, sive ex parte per legem particularem determinata iuxta varia adiuncta locorum et temporum».
IV. Auspicava che tutti gli uffici e i benefici ecclesiastici, regolati dal Codex Iuris Canonici, fossero soggetti alle norme che seguono, più confacenti alla loro natura.
V. Precisava che le tipologie di uffici con i quali il Romano Pontefice era solito risolvere sia «negotia Ecclesiae universae», sia gli affari ecclesiastici di alcune regioni, dovevano conservare una «propriam Rationem constitutionis» e uno statuto proprio. Esso doveva stabilire come l’«officium sit a Superiore conferendum et a titulari exercendum».
VI. Affermava che lo stesso superiore legittimo, «qui officia constituere potest», li poteva anche «dividere, dismembrare, transferre, convertere, supprimere», salvo il canone 145 § 6, tutte le volte che «bonum spirituale fidelium id exigat vel suadeat».
VII. Riproponeva come si dovesse provvedere con un onesto sostentamento a tutti i titolari «officiorum omnium ecclesiasticorum», sia «per congruam remunerationem, dum munere funguntur», sia «per pensionem, cum senectutis aut inhabilitatis seu invaliditatis causa officio cedere debeant».
I Vescovi dovevano preoccuparsi, con ogni cura e sforzo, soprattutto nelle conferenze regionali o nazionali,
ut modi ac rationes huiusmodi socialis adsistentiae ac praevidentiae – pro locorum, temporum et morum adiunctis – per viros apprime peritos in disciplinis socialibus, oeconomicis, actuarialibus, iuridicis, atque in medicorum scientia, practice ac efficaciter determinentur.
VIII. Gli Ordinari dovevano curare che le leggi civili «de praevidentia et adsistentia sociali», che afferivano anche ai presbiteri, non fossero di detrimento né al libero esercizio del ministero pastorale, né al diritto della Chiesa «bona adquirendi indipendenter a qualibet humana potestate ad fines sibi proprios prosequendos»107.
IX. Ai Vescovi competeva la facoltà, per mezzo di una legge diocesana o per mezzo dei decreti di concili particolari, di stabilire norme sui frutti necessari ad un onesto sostentamento del beneficiario. Inoltre si affermava la necessità di precisare le norme con le quali il beneficiario dovesse adempiere all’obbligo fissato dal canone 1473, di destinare il superfluo ai poveri e alle cause pie. Erano gli stessi Ordinari a dover stabilire il mezzo, «quo tenuitas redituum suppleri debeat», nel caso che i frutti del beneficio fossero insufficienti «ad honestam beneficiarii sustentationem»108.
X. I singoli titolari degli uffici ecclesiastici avevano il diritto «ad congruum quotannis vacationum tempus, ab Ordinario praefiniendum».
XI. I titolari degli uffici ecclesiastici, che a norma del diritto non fossero «instituendi ad nutum Ordinarii», acquistavano stabilmente l’ufficio «post certum probationis tempus», ma non divenivano «inamovibiles». Essi, «sacri ministerii causa», potevano essere trasferiti «ab uno ad aliud officium vel beneficium non inferius».
«De administratione bonorum ecclesiasticorum»
I. I fedeli siano esortati a cooperare alle necessità temporali della Chiesa e a costituire pie fondazioni «ad pietatis et caritatis opera peragenda».
II. I chierici siano tenuti ad applicare i «principi ecclesiastici» «de iustitia sociali» nei rapporti con i dipendenti, «qui munus aliquod exerceant in eorum commodum aut in servitium Ecclesiae». Similmente essi siano tenuti ad osservare accuratamente le leggi civili sulla previdenza sociale e l’assistenza sanitaria.
III. Gli amministratori dei beni ecclesiastici osservino «diligentissime» le prescrizioni dei canoni 1522, 1523, 1525-1528, affinché si provveda «bonorum incremento et fructuum copiae».
IV. Si auspicava che «notiones generales de recta administratione bonorum temporalium omnibus clericis in Seminario tradantur», anche tramite un apposito manuale ad hoc.
V. Nel trattare un affare di rilevante importanza, si ricorra al parere di laici, eccellenti per perizia in materia economica e per onestà dei costumi, «ut ecclesiasticorum bonorum gestio perfectius fiat»109.
VI. A scadenza quinquennale si determini il valore dei beni che necessitano dell’autorizzazione della S. Sede per la validità della vendita (cfr. canone 1532 § 1 n. 2), o della locazione (cfr. canone 1541 § 2 n. 1)110.
VII. I frutti dei benefici in eccedenza al necessario sostentamento dei titolari siano trasferiti nella cassa comune diocesana111.
VIII. L’Ordinario può decidere di unificare l’amministrazione di tutti o della maggior parte dei benefici secolari «si casus ferat et bonum dioeceseos id postulet». Al fine di distribuire in modo equo i loro frutti «ad honestam sustentationem clericis subministrandam, ad opera apostolatus fovenda, et ad aliis dioeceseos necessitatibus subveniendum»112.
IX. L’Ordinario del luogo, quando convenga istituire «centralis seu dioecesana administratio beneficiorum saecularium», ha il diritto di determinare «annuam retributionem parochorum aliorumque sacerdotum qui servitio dioecesis sunt addicti», secondo le norme da stabilirsi dalla Conferenza Episcopale e le circostanze peculiari dei luoghi e delle persone113.
X. Sono da prelevare dai redditi dei benefici: a) sia i costi connessi all’amministrazione dei beni, sia la percezione dei relativi frutti; b) le spese per le riparazioni delle case dei benefici minori; c) i tributi diocesani: «chatedraticum et seminaristicum necnon peculiare tributum [quod] ab Ordinario ex necessitate imponatur».
XI. L’Ordinario, quando esistano «certae et voluntariae fidelium oblationes pro dote paroeciae», può determinare che i redditi eccedenti siano raccolti «in massam communem dioecesanam», dedotte le spese necessarie «ad congruam parocho remunerationem tribuendam et ad onera adimplenda quae eius officio sunt adnexa».
XII. Nei territori ove i parroci ed i vicari cooperatori ricevono solo una remunerazione definita dal diritto particolare, l’Ordinario del luogo può autorizzare i religiosi, ai quali la parrocchia sia affidata legittimamente, a raccogliere «semel saltem in anno», offerte dai fedeli per le necessità degli alunni e delle missioni del loro istituto.
XIII. Nelle singole diocesi dev’essere costituita, per quanto risulti possibile, la «massa communis bonorum» e con essa si provveda: a) all’equa remunerazione dei presbiteri, che ricoprono uffici diocesani, b) a ottenere un’equa remunerazione dei parroci, che ne sono carenti «ob insufficientes reditus beneficiales, aut propter insufficientes fidelium oblationes»; c) ad assicurare previdenza sociale e pensioni al clero; d) per mantenere o per edificare chiese, scuole o altri istituti ecclesiastici114.
XIV. La «massa comune» dei beni della diocesi poteva essere costituita: a) da una parte dei redditi dei beni della diocesi, «si bona sufficentia habeantur»; b) dalle tasse legittimamente stabilite nella diocesi; c) dalle offerte volontarie dei fedeli; d) da un «sussidio caritativo» che le diocesi più ricche assegnano, «fraterno animo», alle più povere115.
Lo Schema decreti de officiis et beneficiis ecclesiasticis deque bonorum ecclesiasticorum administratione fu oggetto di studio della «Commissione de Disciplina Cleri et Populi Christiani» durante la settima riunione della medesima Commissione tenutasi il 16 novembre 1961116.
Nel corso di detta riunione, il card. Pietro Ciriaci, presidente della «Commissio de Disciplina Cleri et Populi Christiani», evidenziava l’incongruenza tra l’istituto beneficiale e la situazione contemporanea, proponendo l’utilizzo del termine «ufficio» da sostituirsi a «beneficio»117. Il Cardinale apportava alcune aggiunte alle proposizioni del «De administratione bonorum ecclesiasticorum».
II. E’ un principio di prudenza trattare correttamente «dependentes ab institutionibus ecclesiasticis, ab entibus ecclesiasticis vel ab ecclesiasticis». Essi infatti sono quelli che, «melius et attente», leggono i documenti pontifici ed episcopali «circa quaestionem socialem»118.
V. Nelle questioni amministrative di rilevante importanza, si deve ricorrere al parere dei laici. Il Cardinale, citando un aneddoto119, rileva l’importanza che, nella scelta di questi consiglieri, siano da prediligere «periti in gerenda quaestione oeconomica» e si valuti poi la loro onestà morale. In questa materia si devono infatti utilizzare dei laici esperti, «nam illi qui non sunt periti, etiam si sint honesti, cooperiunt multas inhonestas actiones»120.
VI. Il presente articolo afferisce alle modalità d’attuazione e riforma del canone 1532 sui contratti eccedenti la somma di 30.000 lire o franchi, per la cui validità è necessario il «beneplacitum apostolicum»121.
IX. La Commissione, trattando dei redditi beneficiali superflui, rileva che le disposizioni canoniche danno maggior rilievo al superfluo del beneficiario, ignorando quanti, invece, versano in povertà122.
Altri membri della commissione, tra cui il card. Ferretto123, condivisero il giudizio sostanzialmente positivo dato dal Presidente, mentre altri assunsero posizioni differenti.
In merito all’onesto sostentamento del clero il card. Pla y Deniel rilevò l’opportunità di considerare come redditi beneficiali le tasse che, ad esempio, i parroci ricevono «occasione administrationis Sacramentorum». Egli auspicò che fosse concessa «omnibus sacerdotibus congrua sustentatio»124.
Il card. Frings propendeva invece per l’immutabilità del sistema beneficiale125.
Il card. Léger proponeva che i parroci anziani o malati fossero trasferiti «ab uno officio ad aliud inferius, ratione oneris et honoris». L’Ordinario, per vincere la naturale opposizione dei titolari e per perseguire il bene delle anime, avrebbe dovuto provvedere a che «sacerdotes omnes aeque remuner[e]ntur»126.
Il card. Gracias con il suo lungo intervento sottolineava la necessità di rivedere numerosi punti dello schema, rilevando anche elementi superflui127.
Il card. Larraona affermava la necessità di codificare le parti dello schema relative agli uffici ecclesiastici, «quia eminenter tecnica sunt»128.
Lo schema De officiis et beneficiis ecclesiasticis deque bonorum ecclesiasticorum administratione, in seguito a queste «animadversiones», divenne il «Caput III De officiis et beneficiis ecclesiasticis minoribus saecularibus deque bonorum ecclesiasticorum administratione»129 dello Schema Decreti de Clericis.
Lo schema sopra citato subì solo alcune leggere modifiche rispetto al precedente130 e «non fu mai distribuito né inviato ai Padri; venne però ugualmente stampato per utilità delle Commissioni conciliari»131.
L’8 dicembre 1962 si chiudeva il primo periodo del Concilio132, mentre l’inizio del secondo fu fissato per l’8 settembre 1963.
Le commissioni conciliari, coadiuvate da sottocommissioni speciali miste, in questo lasso di tempo si occuparono del riesame e del perfezionamento degli schemi, per rispondere più adeguatamente alle finalità indicate dal Pontefice nella sua allocuzione inaugurale133.
Lo Schema decreti De Clericis subì una nuova redazione, in seguito anche alle indicazioni date nel gennaio 1963 dalla Commissione di coordinamento.
Lo Schema, approvato dalla Commissione di coordinamento alla fine del mese di marzo 1963134, fu inviato ai Padri con il rescritto del 22 aprile 1963 del card. Amleto Cicognani, Segretario di Stato135.
La parte del De Clericis pertinente al nostro tema è racchiusa nel capitolo III «De recto usu bonorum»136 ai numeri seguenti.
28. [Fines ad quos destinantur bona in Ecclesia] Ci si deve sempre ricordare che i beni «tum ecclesiastica proprie dicta tum quae ex exercitio alicuius officii ecclesiastici clerici sibi comparant», secondo la natura e la consolidata tradizione della Chiesa, devono essere destinati «ad cultum divinum ordinandum, ad honestam Episcopis cleroque sustentationem procurandam, necnon ad opera sacri apostolatus vel caritatis, praesertim circa egenos, exercenda»137.
29. [Officiis primus locus tribuendus est] Il sistema beneficiale, «iam obsolet[um]», nel quale l’ufficio è subordinato al beneficio e «adhuc hodie nimis coniungitur», deve essere abbandonato. I medesimi uffici ecclesiastici, i cui obblighi sono da intendere precipuamente «in finem spiritualem exercend[um]», debbono ricevere «princeps in iure Ecclesiae locus». La «Commissio ad Codicem Iuris Canonici recognoscendum instituta» dovrebbe assumersi il compito di elaborare una nuova legislazione canonica sugli uffici ecclesiastici «magis Ecclesiae fini congruentem atque hodiernis adiunctis necessitatibusque accomodatam»138.
30. [Aequa remuneratio clericis providenda] Poiché «dignus est operarius mercede sua» (Lc 10,7) e «Dominus ordinavit iis, qui Evangelium annuntiant, de Evangelio vivere» (1Cor 9,7), a tutti coloro che «in Ecclesia quolibet munere funguntur aeque providendum est».
Per questo motivo i vescovi, «graviter onerata conscientia», soprattutto nei concili regionali e provinciali, oltre che nelle riunioni tra vescovi, devono formulare delle norme opportune e tempestive perché siano adeguate al valore monetario vigente, avendo un particolare riguardo per i seguenti aspetti:
a tutti i sacerdoti sia assegnata una remunerazione, «clericali dignitati congrua», tramite la quale essi siano in grado «etiam per se ipsos indigentibus subvenire»;
le rationes su cui fondarsi nello stabilire l’ammontare della remunerazione, vanno ricercate: nell’equità «pro clericis in iisdem adiunctis versantibus», nell’anzianità «in officiis adimplendis», e nell’importanza e dignità degli incarichi;
ai sacerdoti che lasciano l’ufficio dopo un certo tempo «decora pensione semper providendum erit».
31. [Praevidentia socialis] Gli Ordinari curino l’assistenza e la previdenza sociale dei sacerdoti ammalati o anziani. Per questo motivo consultino e utilizzino i pareri di esperti «in disciplinis socialibus, actuarialibus, oeconomicis, iuridicis et medicis»139.
32. [Massa communis bonorum in singulis dioecesibus costituenda] Perché i Vescovi possano «huic obligationi erga clericos satisfacere aliisque dioecesis necessitatibus subvenire», devono costituire in ogni diocesi, per quanto sia possibile, una «massa communis bonorum». Essa sia utilizzata in primo luogo «aequae remunerationi omnium clericorum quia eadem carent ob exiguos redditus cum officii exercitio cohaerentes aut ob insufficientes fidelium oblationes»; in secondo luogo per assolvere alla previdenza sociale e alle pensioni dei chierici, oltre che per le opere necessarie per le chiese, scuole ed altri istituti ecclesiastici140.
33. [Fontes massae communis] Possono costituire la «massa comune» dei beni «exempli gratia»:
le offerte dei fedeli e le pie fondazioni da loro create «ad pietatis et caritatis opera peragenda» e per la dignitosa remunerazione del clero;
quella parte del reddito che i chierici ricevano dall’esercizio del sacro ministero «quae congruam eorum mercedem iure particulari determinatam excedat»;
il denaro raccolto con le percentuali imposte con moderazione dal vescovo sugli «stipendia seu onoraria» che i chierici percepiscono svolgendo legittimamente altre professioni fuori del sacro ministero141;
i beni affidati alla diocesi senza finalità specifica;
una parte dei redditi «bonorum ipsius dioecesis», se ce ne fossero a sufficienza;
i redditi «antiquorum bonorum beneficialium», sia immobili che mobili, dove esistono;
i sussidi, anche caritativi, che le diocesi più ricche possono assegnare, «fraterno animo», a quelle più povere;
i redditi di tutti gli istituti diocesani soggetti all’Ordinario del luogo, quando questi redditi siano superflui e non debbano o possano essere destinati «incremento et amplificationi institutorum ipsorum»142;
34. [Administratio bonorum huius massae communis] E’ compito del Consiglio d’amministrazione, designato dall’Ordinario del luogo,di gestire il patrimonio della «massa»143.
Alla chiusura del secondo periodo conciliare, il 29 novembre 1963, fu distribuito ai Padri il Nuntius Patrum Concilii Oecumenici Vaticani II ad universos Catholicae Ecclesiae Sacerdotes.
Esso conteneva riflessioni di natura teologica e spirituale sulla figura e sulla missione del sacerdote nella Chiesa, ma non menzionava né i benefici ecclesiastici né il sostentamento del clero144.
Il Nuntius non fu mai approvato né inviato ai sacerdoti, ma fu parzialmente utilizzato nella redazione degli schemi successivi145.
Il 23 gennaio 1964 la Commissione «De Concilii laboribus coordinandis» stabilì che il testo dello Schema decreti De Clericis, preparato dalla «Commissio de disciplina cleri et populi christiani», fosse ridotto ai suoi capitoli essenziali, sotto forma di proposizioni da presentare alla votazione dei Padri146.
Il 16 marzo 1964 la Commissione plenaria approvò il testo e lo trasmise alla Commissione «De Concilii laboribus coordinandis». Il giorno seguente la stessa Commissione coordinatrice approvò il nuovo testo dello Schema De Sacerdotibus147.
Il De Sacerdotibus, rielaborato, abbreviato e ridotto infine in dieci proposizioni, fu inviato, con rescritto del 27 aprile 1964 a firma del cardinale Amleto Cicognani, Segretario di Stato, ai Padri conciliari il giorno 11 maggio 1964148.
Nello schema De Sacerdotibus riguardavano direttamente il nostro lavoro le proposizioni 7, 8, 9 e 10149.
7. [Fines ad quos bona in Ecclesia destinantur] [olim 28. Fines ad quos destinantur bona in Ecclesia] L’incipit fu modificato, furono apportate alcune variazioni di carattere lessicale e fu tolta la seconda parte del testo150.
8. [Officiis ecclesiasticis princeps locus in iure tribuendus] [olim 29. Officiis primus locus tribuendus est] Fu omessa la precisazione «iam obsoleto» riferita al sistema beneficiale, furono aggiunti alcuni termini e fu tolta la seconda parte del testo151.
9. [Aequa remuneratio clericis providenda] [olim 30] Il testo, pur mantenendo la parte iniziale, fu ridotto e semplificato. Si sottolineò il potere normativo del Vescovo a legiferare in questa materia, omettendo il precedente ricorso ai Concili Regionali e Provinciali e fu omesso il punto relativo alla pensione per i sacerdoti152.
10. [Massa communis bonorum in singulis dioecesibus costituenda] [olim 32. Massa communis bonorum in singulis dioecesibus costituenda e 33. Fontes massae communis] I due testi, unificati, furono notevolmente ridotti. In particolare tra le varie opzioni di tipologie costitutive della «massa bonorum», furono mantenute le oblazioni dei fedeli, sottolineando invece il dovere delle diocesi più ricche di soccorrere quelle povere153. L’interesse della Commissione in materia di sostentamento si esplicava anche nelle appendici allo schema, ossia nella Relatio circa rationem qua schema elaboratum est154 e nella Relatio de recognitione schematis iuxta animadversionem Patrum155 Entrambe le relazioni si soffermavano sull’argomento, per ribadire il significato «anagogico» dei beni materiali per la missione divina della Chiesa.
Dal 21 maggio al 13 settembre i Padri presentarono le loro osservazioni allo schema: intervennero i cardinali Doi e Richaud, numerosi arcivescovi e vescovi, i padri di lingua germanico-scandinava e la Conferenza Episcopale Indonesiana.
Il card. Richaud definì «assai lodevole» la proposta di abolire il sistema beneficiale, pur muovendo alcune riserve allo schema156.
Altre valutazioni positive vennero dal vescovo De Provenchères, dal patriarca maronita Meouchi157, dalla stessa Conferenza Episcopale Indonesiana, per la quale l’idea ««massae communis» ex qua etiam aliis necessitatibus providendum est, peccat contra leges sanae oeconomiae»158.
Concludendo, ci sembra che la Commissione incaricata di preparare gli schemi pre-conciliari avesse recepito soprattutto i voti della fase «antepreparatoria» e le istanze di vescovi, che introducevano parziali riforme del sistema beneficiale e del sistema amministrativo dei beni temporali.
Tali voti, tuttavia, non modificavano di fatto la legislazione, per cui la Commissione presentò il De Sacerdotibus sostanzialmente in linea con il Codice.