I Paesi dell’Est
Un primo raggruppamento di Stati con situazioni tra loro parzialmente affini è rappresentato dai Paesi dell’Est, ove una Chiesa ancora in difficilissime condizioni, pur essendo uscita dall’oppressione, deve affrontare i problemi elementari della sopravvivenza e del confronto con altre confessioni religiose tradizionalmente più strutturate. Con l’instaurazione dei regimi socialisti, infatti, non diversamente da quanto è accaduto nell’Ottocento per l’Europa occidentale, il considerevole complesso delle proprietà degli organismi ecclesiastici e religiosi dell’Est ha subito un massiccio ridimensionamento, se non una completa cancellazione.
Molte Conferenze Episcopali riferiscono ora d’aver avviato il recupero della proprietà dei beni ecclesiastici e degli stessi edifici di culto (le c.d. restituzioni), ma si tratta di un processo lungo, incerto e difficile, dal cui esito dipende anche l’evoluzione della materia di cui ci stiamo occupando.
Va detto pure che, durante la precedente stagione politica, la situazione era mitigata dal fatto che in molti casi alle confessioni religiose veniva lasciata la libera disponibilità delle offerte dei fedeli, che rappresentava – e talora ancora rappresenta – l’unica fonte di sostentamento. In alcuni Paesi, poi, lo Stato si faceva carico addirittura di stipendiare il clero; ciò avveniva però per evidenti ragioni di controllo dell’apparato ecclesiastico da parte del potere politico.
Adesso che la situazione è mutata, la Chiesa cattolica dell’Est si regge per lo più sulla solidarietà internazionale e sulle offerte dei fedeli, le quali, per l’inconsistenza del residuo patrimonio ecclesiastico, costituiscono un vero e proprio sistema spontaneo di sostentamento del clero, collegato alla celebrazione di servizi religiosi.
Vediamo però, per quanto ci è consentito dalle informazioni disponibili, le più significative peculiarità segnalate dalle Conferenze Episcopali dell’Est in merito alle questioni economiche.