Storia della redazione dei canoni 1272, 1274 e 1275

 

  1. Dagli inizi allo Schema del 1977

I lavori per dare soluzione alle questioni concernenti il sostentamento del clero e i benefici ecclesiastici, sollevate – come abbiamo visto – durante il dibattito conciliare e dal m.p. Ecclesiae Sanctae, iniziarono sin dal gennaio 1967, quando durante la Sessio I del Gruppo di Studio De Bonis Ecclesiae temporalibus1 vennero posti ai consultori2 tre quesiti, ossia:

Quaenam sint recognoscenda, scilicet mutanda, addenda aut supprimenda

  1. in normis generalibus (canones 1495-1498)
  2. in normis de bonis Ecclesiae acquirendis (canones 1499-1517)

  3. de bonis Ecclesiae administrandis (canones 1518-1528)

Si trattava dunque di trarre le conseguenze di quanto era stato suggerito dal Concilio, come riconobbe lo stesso Segretario della Commissione3.

Tra le questioni sollevate dalla riflessione conciliare «omnes consultores conveniunt quaestiones prae aliis difficiliores provenire ex praescripto Concilii de abolendo vel reformando systemate beneficiali et de praeminentia officii ecclesiastici loco beneficii»4.

Il dibattito su questi problemi si rivelò sin da subito molto acceso.

Il Segretario sottolineava che l’abolizione del sistema beneficiale avrebbe forzatamente costretto a trovare un altro sistema di remunerazione del clero e che, sia pure tenendo conto delle indicazioni fornite dal Concilio Vaticano II, alcune questioni sarebbero rimaste senza risposta5, tra cui quella della dote e quella sulla concezione della «costituzione» degli uffici. Inoltre egli si domandava: «quis posset praevidere quot sint necessitates spirituales ad quas occurendas officia tribuantur ita ut actu officium et constituatur et conferatur?»6.

Allo stesso modo un Consultore osservava che il testo del Concilio Vaticano II sull’abbandono del sistema beneficiale abbisognava certamente di un’interpretazione:

 

Mens Concilii videtur esse quod officium locum principem habeat in iure. Iamvero in Codice J. C. quid habetur? Nihil de paroecia, nihil de dioecesi ut subiecta iuris, ita ut parocho et Episcopo non paroecia vel dioecesis conferatur, sed beneficium aliquod cui adnexum sit officium parochi vel Episcopi […].

 

Concludeva poi affermando che, poiché con il termine «officium» s’intendeva un dovere «stabilmente conferito» e non «stabilmente costituito», allora «Concilium vim facit in libera collatione officii secundum circumstantias, ita ut sine aliquo impedimento possit occurri necessitatibus fidelium»7.

Contro la moltiplicazione dei servizi si schierò un secondo Consultore, il quale ritenne che i Padri Conciliari avessero parlato dei benefici per una preoccupazione di tipo sociale e fece notare come molti di essi provenissero da regioni in cui il sistema beneficiale non era in vigore. Egli si espresse inoltre contro la centralizzazione dei beni e contro la proposta di abbandonare il sistema beneficiale8.

Un altro Consultore suggeriva di non soffermarsi troppo sulla terminologia usata dal Concilio, ma piuttosto di svilupparne l’idea portante emersa, ossia che venisse attribuito senza dubbio il posto principale nel diritto alla categoria di ufficio ecclesiastico.

Riprendendo le posizioni già assunte dalla Pontificia Università Gregoriana, il nostro Consultore giungeva alla conclusione che «systema beneficiale relinquendum [est] ut extollatur functio officii ecclesiastici cuius ratio et extensio tamen iuridice determinanda sunt»9.

Un altro Consultore, quello dalle cui osservazioni aveva preso spunto il dibattito, fece notare come la questione dell’abbandono del sistema beneficiale riguardasse pochissime nazioni, ossia Italia, Spagna e Portogallo10, ed anche in quelle zone – come precisarono un altro Consultore ed il Segretario – i benefici con dote erano rarissimi o assai esigui11.

In ogni caso vi fu l’unanimità dei pareri attorno alla dichiarazione di esentare i parroci ed i sacerdoti dall’amministrazione dei benefici medesimi, e rispetto alla necessità di far confluire questi beni in un sistema amministrativo che potesse provvedere a sostituire quello beneficiale, senza intaccare l’adeguatezza del sostentamento del clero12.

In una successiva riunione un Consultore mosse l’appunto che «per se huic Coetui pertinet materia de bonis Ecclesiae temporalibus non autem de officiis et beneficiis»13, ma il Segretario sottolineò che – poiché la personalità giuridica, secondo il Concilio, sembrava da applicarsi agli stessi uffici – la discussione avrebbe dovuto vertere sulla personalità morale a cui i diritti di godimento si riferivano. Infatti essa non si sarebbe potuta assegnare indiscriminatamente a tutti gli uffici, poiché

 

certe non omnibus omnino officiis potest tribui personalitas moralis, cum adsint aliqua munera quae non gaudent charactere stabilitatis et non sint ad finem spiritualem nisi lato sensu […] Necessarium est ergo determinare criteria rigida ne munera cuiuscumque generis ut officia habeantur14.

 

Vi fu successivamente una discussione su come i beni ecclesiastici potessero essere connessi ai vari uffici senza che si verificassero i medesimi inconvenienti presenti nel sistema beneficiale15.

Intervenendo nel dibattito suscitato da questa affermazione un Consultore osservava come il Concilio avesse parlato di

 

officiis sensu lato – ut apparet in Relatione circa rationem qua elaboratum est “Schema propositionum de Sacerdotibus” […] Commissioni nostrae autem pertinet bene delineare notionem officii illamque, si opus ferat, restringere, quia nullibi in Concilio sancitum est omnibus omnino officiis personalitatem iuridicam tribuendam esse16.

 

Il dibattito osservò una battuta d’arresto temporanea, per poi essere ripreso durante la Sessione II, 5-10 giugno 196717.

In tale occasione, uno dei Consultori assenti alla Sessione I presentò un lungo ed articolato votum relativo a tutte le questioni connesse al problema del sostentamento del clero18.

Dopo aver segnalato come «sustentatio» fosse un termine che indicava: «summam mediorum materialium oeconomicorum quae toto tempore vitae et activitatis clerici ei necessaria et debita sunt», il Consultore riteneva che nel sostentamento dovessero essere comprese sia la «retributio», cioè «subministratio mediorum ad vivendum necessariorum clerico qui in sua opera incumbit», che la «praevidentia socialis», ossia il debito e sufficiente concorso di mezzi necessari per il sostentamento del chierico anziano o comunque inabile a portare a termine i propri compiti19.

Sempre confrontandosi con i testi conciliari, il nostro Consultore suggeriva che soggetti dell’obbligo di una giusta remunerazione dei presbiteri fossero in primo luogo i Vescovi, invitati sia a sollecitare e formare i fedeli circa questa materia, sia, se necessario, a trovare forme di collaborazione con altre diocesi20.

Circa la questione dei benefici, il Consultore riteneva che i testi conciliari avessero espresso una maggiore importanza per la categoria di ufficio rispetto a quella di beneficio, ma «consectaria […] immediate magnopere possunt differre […] Patet ergo quod post Concilium actum sit de dominio pleno beneficiati in reditus beneficii».

Quando però, il 5 giugno 1967, lo stesso Consultore richiamò l’attenzione su alcune questioni particolari da affrontare prima di quelle generali, il Segretario e altri Consultori ritennero che:

 

quaestiones particulares tuto posse tractari in nostro coetu, donec in alio coetu quaestio de officio ecclesiastico definiatur, cum aggredi non possit quaestio de reformando systemate beneficiali quin prius illa de officio ecclesiastico definiatur21.

 

Più tardi, durante la Sessione III, 20-24 novembre 196722, si ebbe modo di parlare anche dei poteri delle Conferenze Episcopali e dei beni sovradiocesani: partendo dalla prescrizione conciliare fissata in PO 21, la discussione si concentrò sul modo di amministrare i beni costituenti le masse.

Per quanto le opinioni in merito fossero eterogenee e variegate23, quasi tutti i Consultori si dichiararono concordi nell’affermare che «subiectum dominii debeat esse Conferentia Episcopalis»24; da qui nacque il problema concernente l’attribuzione di una personalità morale a tutte le Conferenze Episcopali.

Tre Consultori avrebbero voluto che tale personalità fosse attribuita espressamente anche alle Conferenze Episcopali nel canone 1496, così come era fissato per le parrocchie e le diocesi. Un altro sottolineò come alle Conferenze Episcopali dovesse essere attribuita implicitamente, interpretando il medesimo canone alla luce delle parole «aliaeque personae morales». Un altro ancora ritenne che la suddetta personalità, atta a possedere i beni sovradiocesani, non dovesse riferirsi univocamente alle Conferenze Episcopali, in modo da lasciare aperta la strada alla costituzione di altri organi sovranazionali con analoghe funzioni.

Un Consultore dichiarò che la personalità morale non era propriamente necessaria per il fine di cui si trattava. Un altro, richiamandosi al m.p. Ecclesiae Sanctae25, propose l’istituzione di una Prelatura a cui fosse assegnata l’amministrazione dei beni sovradiocesani; proposta questa condivisa da un altro Consultore, il quale però non mancava di sottolineare come, in taluni Stati, l’eventuale attribuzione della personalità morale alle Conferenze Episcopali avrebbe tramutato queste ultime in corporazioni, cosa che certo non coincideva con la personalità morale26.

Nonostante questa eterogeneità di pareri, comunque, i Consultori si dichiararono unanimemente concordi nell’includere espressamente le Conferenze Episcopali nel canone 149627: perciò, come faceva notare il Relatore, sembrava che rimanesse aperta solo la questione dell’amministrazione dei beni.

Un Consultore, tuttavia, intervenne ricordando che esisteva un’altra questione pregiudiziale, ossia quella relativa alla costituzione dei beni sovradiocesani, assolutamente da chiarire prima di poter passare alla loro amministrazione. Per questo, propose di redigere un canone in cui si dichiarasse che ogni massa comune dovesse essere costituita presso le singole Conferenze Episcopali28.

La discussione si riportò dunque intorno alla questione dell’amministrazione dei beni sovradiocesani. Un Consultore propose che si dicesse: «Conferentiae Episcopalis est moderari administrationem bonorum ecclesiasticorum, quae ex pluribus dioecesibus proveniunt et necessitatibus ecclesasticis superdioecesanis inserviunt»29.

Un altro Consultore propose una formula del seguente tenore:

 

Bona ecclesiastica, quae ex pluribus dioecesibus coalescunt et necessitatibus ecclesiasticis superdioecesanis inserviunt, administrantur secundum normas a Conferentiis Episcopalibus in singulis regionibus, approbante Sancta Sede, statutas30.

 

Emergeva dunque una grande somiglianza fra le due formule, tra l’altro perfettamente identiche nella loro prima parte: il fatto non sfuggì ai Consultori che infatti le esaminarono contemporaneamente e diedero vita ad un dibattito piuttosto acceso.

Uno di loro avrebbe preferito che si iniziasse il canone con una subordinazione di tipo ipotetico: «se per caso si formano delle masse comuni provenienti da più diocesi […]»; mentre un altro – a sua volta appoggiato da altri tre – avrebbe preferito omettere le parole «et necessitatibus […] serviunt».

Tutti gli altri si opposero all’espunzione di quest’ultima locuzione, in quanto esprimeva efficacemente lo scopo a cui si destinavano i beni31.

Un Consultore non trovò opportuno l’uso del termine «coalescunt» ed il Segretario suggerì l’utilizzo del verbo «colligere», ma l’autore del voto affermò che il verbo non doveva essere mutato, sia perché esprimeva correttamente la diversa provenienza dei beni che formavano la massa, sia perché, se si fosse usato il verbo «colligere», si sarebbe poi dovuto specificare la provenienza dei singoli beni32.

Facendo seguito a queste osservazioni, un Consultore propose la seguente stesura per la prima parte del canone:

«Bona ecclesiastica, quae ex pluribus dioecesibus coalescunt ad normam can. X»33; che ottenne il «placet» di sette Consultori e il «non placet» di quattro.

Per quanto riguardava invece la seconda parte della formula, il Consultore che aveva proposto la prima ne approvò la stesura, purché venisse eliminata l’espressione «in singulis regionibus» e purché il canone fosse redatto mantenendo «aperta via […] organis supranationalibus»34.

Ci si domandò allora se piacesse l’eliminazione dell’espressione «in singulis regionibus» e la seconda parte della formula così com’era rimasta.

La richiesta d’eliminazione ottenne l’unanimità35; riguardo invece all’altro quesito, le posizioni differivano, sia pure non considerevolmente: ad un Consultore non piaceva riservare l’approvazione alla Santa Sede, altri invece preferivano parlare di «recognitio», e non di «approbatio», da parte del Pontefice36.

Uno dei Consultori propose di emendare la formulazione in «[…] administrantur secundum normas a Conferentiis Episcopalibus legitime statutas», proposta che – messa ai voti – ottenne dieci «placet» contro un «non placet»37.

Il 24 novembre 1967, circa la questione «massae bonorum communes: a quibus administrantur et ad quas personas morales pertinent» si decise che: «normae generales de bonis administrandis, in praesenti sessione statutae, applicandae sunt etiam massis bonorum communibus», affidando al Relatore di redigere i canoni relativi all’amministrazione dei beni ecclesiastici, secondo le indicazioni fornite dai Consultori38.

Tale lavoro venne appunto preso in esame durante la Sessione IV39 e, tra gli altri, diede luogo anche al dibattito sulla formulazione del canone 1519-bis, che – secondo le indicazioni preparate dal Relatore – avrebbe dovuto esplicarsi in questi termini:

«Bona ecclesiastica, quae ex pluribus dioecesibus coalescunt, ad normam canonum […] (qui adhuc formulandi sunt) administrantur secundum normas a Conferentiis Episcopalibus legitime statutas».

La formulazione omnibus placet ed un Consultore propose di trasformare questo canone 1519-bis nel canone 1519 e viceversa: la proposta ottenne il placet di tutti40.

Nella Sessione successiva, che tocca solo marginalmente il nostro lavoro41, i Consultori vennero chiamati a decidere se delegare al diritto particolare le norme fissate dal canone 1523 § 2, già approvate nella sessione precedente, come da proposta di un Consultore. Inoltre si trovarono a sistemare quella parte del Codex Iuris Canonici relativa all’amministrazione dei beni ecclesiastici e ai contratti.

La proposta di delegare al diritto particolare la normativa relativa ai casi che ricadevano nel canone 1523 § 2 venne respinta all’unanimità, mentre venne approvata unanimemente l’idea del Relatore (già avanzata nella precedente sessione) di invertire l’ordine di disposizione dei paragrafi del canone 152742.

Con la Sessione VI venne chiesto ai Consultori – oltre alla recognitio sui canoni 1535-1543 e alla sistemazione di tutti i canoni – di indicare se vi fossero delle lacune da colmare e di esprimere la propria opinione sul tema43 «de patrimoniis communibus ad varias necessitates providendum: an et quomodo constituenda et administranda sint».

I Consultori, dunque, proposero di sottoporre ad esame le seguenti quaestiones:

 

An systema beneficiale reponendum vel reformandum sit; an patrimonia communia usui determinato destinata costituenda sint; an in hac tantum parte Codicis de iure patrimoniali generali Ecclesiae agendum sit, vel in aliis quoque partibus Codicis (ex. gr. de bonis religiosorum); an officia personalitate iuridica habeant quoad ius patrimoniale44.

 

Riguardo a quest’ultima problematica, il Segretario fece notare che in assemblea competente era già stata effettuata la distinzione tra persone giuridiche pubbliche e private, e da tale distinzione nasceva la questione se considerare beni ecclesiastici anche i beni delle persone giuridiche private45.

Quanto alle altre quaestiones, per le quali i Consultori approntarono una bozza con i propri pareri, fu chiaro che necessitava maggior tempo per dar luogo ad uno studio più approfondito sulle tematiche prese in esame: si chiedeva pertanto alla Segreteria di indicare le singole quaestiones su cui essi avrebbero potuto esprimere un voto46.

La Segreteria della Commissione rispose con una lettera ai Consultori, indicando, tra le altre che sarebbero state esaminate nella successiva Sessione, le seguenti quaestiones:

 

1. An patrimonialia bona personae privatae inter bona ecclesiastica computari debeant; 2. Quaenam massae bonorum reputentur necessario efformari ac definiri debere in iure patrimoniali Ecclesiae; de singulis dicatur constitutio, finis, subiectum dominii; 3. Quaenam sunt institutiones ecclesiasticae quae assignatione bonorum patrimonialium stabilium egent ut recte constitui possint; 4. An quaedam officia ecclesiastica bona temporalia, tamquam dos, in posterum retinere valeant; 5. Quid de superviventia beneficiorum ecclesiasticorum, ratione habita situationis in singulis regionibus, statui possit in novo Codice, v. gr. de iuribus quaesitis, de conventionibus cum statibus, etc47.

 

Si pregavano, inoltre, i Consultori di esaminare tali questioni e di voler indicare, assieme ai canoni concernenti, anche un voto in proposito48.

Essi, dunque, inviarono il loro voto scritto esprimendo molti suggerimenti, compendiati dal Relatore ed approntati per i Consultori stessi e per la Segreteria della Commissione prima della Sessione VII49.

Tale Sessione si tenne tra il 26 e il 31 maggio del 196950.

Il 28 maggio, a fronte della questione: «quaenam massae bonorum reputantur necessario efformari ac definiri debere in iure patrimoniali ecclesiae», uno dei Consultori, invitato dal Segretario ad esporre i punti generali delle questioni all’ordine del giorno e ad introdurre lo schema dei canoni, iniziò affermando che la questione delle masse comuni dei beni era strettamente legata a quella della soppressione dei benefici. Egli proseguì delineando una serie di masse comuni che potevano essere create per far fronte alle svariate necessità della Chiesa. Affermò inoltre che, seppur la problematica fosse indubbiamente da riferire al Codice di Diritto Canonico, era anche necessario devolvere molti aspetti al diritto particolare51.

Facendo seguito a questa premessa, il Consultore distribuì agli altri lo schema dei canoni da lui stesso elaborato nel suo voto scritto.

Sette Consultori replicarono che tale schema era troppo costrittivo riguardo all’obbligo di costituzione della massa comune, eccessivamente dispersivo ed invasivo del diritto particolare.

Un Consultore avrebbe voluto che si costituissero sempre e comunque masse comuni52, mentre un altro espresse il parere che ciò ricadesse sempre sotto la giurisdizione delle Conferenze Episcopali, lasciando al diritto comune il compito di fornire una normativa per quelle diocesi dove queste non avessero ancora stabilito nulla in proposito53.

Relativamente alla terminologia, un Consultore avrebbe preferito che tali patrimoni comuni venissero denominati «Instituta», piuttosto che «massae»54, ma un altro fece notare come tale vocabolo si prestasse ad interpretazioni piuttosto ambigue: a suo giudizio, dunque, sarebbe stato meglio che la denominazione fosse stabilita dal diritto particolare, in modo da lasciare i Vescovi liberi di seguire le circostanze di luogo55.

Il Segretario, dunque, «attentis his discussionibus», propose la seguente formula:

 

§ 1. Advigilent Episcoporum Conferentiae, iuxta normas ab ipsis condendas, ut in singulis dioecesibus habeatur speciale institutum quod bona vel oblationes colligat eum in finem ut honestae necnon fundamentaliter aequali sustentationi omnium clericorum, qui in populi Dei servitium munere funguntur vel functi sunt, apte provideatur56.

 

A questa formula fecero seguito le osservazioni di un Consultore che avrebbe voluto integrare la frase iniziale con «Advigilent Episcopus et […]», con la motivazione che il Vescovo, nella sua diocesi, poteva agire senza attendere le normative della Conferenza Episcopale.

Tale proposta non piacque, così come quella avanzata da un altro Consultore che – sulla scorta del primo – avrebbe voluto iniziare così il periodo: «Episcopi, praesertim in Conferentiis Episcopalibus […]», e quella di un altro che avrebbe voluto espungere la parola «apte»57.

Vennero invece accolte le proposte di espungere le parole «vel functi sunt», secondo l’indicazione di un Consultore che faceva notare come per quei chierici si dovesse provvedere tramite un’altra massa comune58, e quella – secondo i suggerimenti di un ulteriore Consultore – di indicare nell’ultimo paragrafo, in modo da poterla riferire anche ad altre masse di beni, che più diocesi potessero dar vita ad un unico istituto interdiocesano59.

Nel Conventus successivo un Consultore propose lo schema del § 2 circa le masse dei beni:

 

Item curent Episcoporum Conferentiae ut, attentis legibus ecclesiasticis et civilibus, in singulis nationibus habeantur sive instituta dioecesana, etiam inter se foederata, sive instituta pro variis dioecesibus simul constituta, sive consociatio pro tota natione condita, quibus, sub vigilantia sacrae Hierarchiae, satis provideatur tum congruenti cautioni et adsistentiae sanitariae, quam vocant, tum debitae sustentationi clericorum qui infirmitate, invaliditate aut senectute laborant60.

 

Un altro Consultore pensava che tale formula fosse troppo prolissa e ne propose una forma abbreviata:

 

 

In nationibus ubi praevidentia socialis in favorem cleri nondum apte ordinata est, curent Conferentiae Episcoporum pro suo cuiusque territorio ut, attentis legibus ecclesiasticis et civilibus, habeantur instituta quibus, sub vigilantia Hierarchiae, satis provideatur necessitatibus providentiae socialis et adsecurationi sanitariae61.

 

Il Relatore approvò quest’ultima formulazione, ma propose che si modificassero le ultime parole in «[…] sub vigilantia Hierarchiae, securitati sociali clericorum satis provideatur», e ciò piacque a tutti62.

Un Consultore chiese se tale norma dovesse applicarsi anche ai religiosi ed il Segretario rispose che era preferibile lasciare tale questione al diritto particolare63.

Venne successivamente proposta la formulazione del § 3:

 

In singulis dioecesibus vel regionibus, modis ab Episcoporum Conferentiis definiendis, constituatur quantum fieri possit, massa communis, qua valeant Episcopi obligationibus erga alias personas Ecclesiae deservientes satisfacere variisque dioecesis necessitatibus occurrere, quaque etiam valeant dioeceses divitiores adiuvare pauperiores64.

 

Un Consultore avrebbe preferito determinare anche i parametri di costituzione di tale massa comune, ma gli altri approvarono la formulazione generale, in quanto non risultava possibile, nella legge comune, stabilire criteri precisi validi per tutti i luoghi65.

Venne respinta anche la proposta avanzata da un altro Consultore di sopprimere le parole «quantum fieri potest», mentre venne accettata, salvo due riserve, l’integrazione «[…] laicorum etiam opera adhibita […]», da aggiungersi dopo «[…] modis ab Episcoporum Conferentiis definiendis […]»66.

La formulazione proposta venne dunque accettata con le sole riserve a cui abbiamo accennato: esse provenivano da due Consultori, che avrebbero preferito parlare dell’apostolato dei laici in altro luogo, in quanto l’argomento trattato nel § 3 era quello della costituzione delle masse.

Il 29 maggio venne presentata la formulazione del § 4 del canone sulle masse comuni:

 

De iudicio competentis Conferentiae Episcoporum et iuxta normas ab ipsa condendas instituta necnon massa de quibus supra (in §§ 1, 2, 3) esse possunt sive dioecesana, etiam inter se foederata, sive pro diversis dioecesibus simul constituta, sive consociationes pro tota natione condita67.

 

Ne nacque una «longa discussio» a proposito delle seguenti problematiche68:

 

An concedenda sit Conferentiae Episcopali potestas legislativa quoad hanc materiam, ita ut omnes Episcopi teneantur legibus ipsius Conferentiae.

An opportunum sit consociationem Institutorum ad plures nationes extendere.

An remissio facienda sit ad can. 1519 (recognitum) quod attinet ad administrationem bonorum quae coalescunt ex pluribus institutis foederatis.

An possibilitas sese foederandi extendi debeat etiam ad instituta de quibus in § 1 (ad honestam sustentationem clericorum).

 

Vediamo ora le animadversiones avanzate alle singole questioni.

Alla domanda se si dovesse concedere alla Conferenza Episcopale il potere legislativo sulla materia, di modo che tutti i Vescovi si attenessero a quanto stabilito dalla Conferenza stessa, due Consultori risposero affermativamente, temendo le conseguenze di un certo ed inevitabile «egoismo diocesano» da parte dei singoli Vescovi. Altri due risposero positivamente purché le Conferenze disponessero di almeno due terzi dei voti dei membri. Altri due invece espressero parere negativo per non limitare la potestà dei Vescovi con l’accrescere il potere di questo organo intermedio, e per il timore che in simile materia le deliberazioni della Conferenza non fossero efficaci quanto quelle di ogni singolo Vescovo. Altri due affermarono che non era necessario attribuire facoltà legislative alla Conferenza: sarebbe stato preferibile – una volta raggiunta la maggioranza dei voti – ottenere il placet della Santa Sede perché la deliberazione della Conferenza avesse forza di legge69.

Alla domanda se fosse opportuno estendere la consociazione degli Istituti a più nazioni, numerosi Consultori risposero positivamente: uno di loro mise in guardia gli altri da un possibile pericolo di strumentalizzazione di tali istituzioni da parte degli Stati civili, che avrebbero potuto servirsene per trafficare in valuta70. Due Consultori pensarono di lasciare alla Santa Sede il compito di esaminare i singoli casi, e che nulla in proposito si dicesse nella legge comune71.

Alla richiesta se vi fosse da fare rimando a quanto stabilito dal già recognito canone 1519, attinente all’amministrazione dei beni formati da più istituti federati, due Consultori diedero parere positivo, mentre gli altri pensavano che ciò non fosse necessario72.

Alla domanda se la possibilità di federazione dovesse essere estesa anche agli istituti di cui al § 1 (per l’onesto sostentamento del clero), un Consultore sottolineò come fosse intenzione del Concilio che alcuni di essi fossero esclusivamente diocesani, mentre gli altri – di cui ai §§ 2 e 3 – potevano essere federati. I restanti Consultori non ebbero nulla in contrario a che gli istituti di cui al § 1 potessero federarsi73.

Durante la seduta successiva, il 29 maggio, fu proposto lo schema del § 4:

 

De consensu competentium Episcoporum Conferentiarum et iuxta normas ab ipsis condendas, fines de quibus in §§ 1, 2, 3 promoveri possunt per cooperationem plurium dioecesium vel per consociationem sive pro tota natione, sive pro pluribus nationibus conditam.

Quodsi, in casu particulari, aliqualis eiusmodi dispositio ad bonum commune necessaria esse videtur decisio Conferentiae competentis, ad normam can… prolata, vim legis habet pro omnibus quos respicit. VEL Quodsi, aliqua eiusmodi dispositio maiori parti Conferentiae videtur ad bonum commune requiri, valde optandum est ut decisio maioritatis ab omnibus Conferentiae membris in effectum deducatur74.

Un Consultore avrebbe voluto definire in maniera più circostanziata l’organo definitivo: un unico istituto per più diocesi oppure una federazione di più istituti diocesani75. Gli altri, invece, accettarono come base di discussione sia la prima sia la seconda formulazione. Un ulteriore Consultore sottolineò come, nelle formulazioni presentate la creazione dell’associazione di istituzioni venisse descritta impersonalmente, mentre al contrario era auspicabile esprimere chiaramente chi dovesse promuovere ciò. Pertanto egli propose la seguente formulazione:

 

Episcoporum Conferentiae, iuxta normas ab ipsis condendas, fines de quibus in §§ 1, 2, 3 promoveant vel per instituta dioecesana inter se foederata, vel per cooperationem aut etiam convenientem consociationem pro variis dioecesibus, imo et pro toto territorio constituta76.

 

A questa formulazione un Consultore oppose che la forma impersonale fosse da preferirsi77 e così si giunse a suggerire una formulazione semplificata:

 

Fines de quibus in §§ 1, 2, 3 obtineri possunt per instituta dioecesana inter se foederata vel per cooperationem aut etiam per convenientem consociationem pro variis dioecesibus, imo et pro toto territorio constitutam78.

 

Un altro Consultore approvò questa formulazione, proponendo tuttavia che si integrasse la parola «aptius» prima di «obtineri possunt»: la sua proposta piacque a tutti. Un altro, tuttavia, fece notare come si potesse parlare di «aptius» a buon diritto in tutti e tre i paragrafi, ma – in effetti –, per quanto specificato nel § 1, gli scopi si potevano ottenere «aptius» attraverso gli istituti diocesani. Egli propose pertanto di parlare di «aptius» limitatamente ai §§ 2 e 3: la sua proposta piacque a tutti, per cui la formula originaria venne approvata con i due emendamenti che abbiamo citato.

Un Consultore, infine, propose che si completasse il § 4 con le seguenti parole:

 

Foveantur insuper relationes, quoties id expedire videatur, inter huiusmodi instituta diversarum nationum ad eorum maiorem efficacitatem promovendam ac tuendam.

La proposta fu approvata da tutti79.

Relativamente invece alla personalità morale di questi istituti i Consultori pensavano che in proposito non fosse necessario stabilire nulla nella legge comune, di modo che il diritto particolare avrebbe provveduto per le diverse circostanze di luogo80.

Proseguendo la discussione, un Consultore propose che nel canone relativo alle masse comuni fosse aggiunto un § 5 così articolato: «Pro iisdem institutis servetur forma iure quoque civili valitura»81. Un altro Consultore approvò la richiesta, ma chiese che la redazione avvenisse nel modo seguente: «Quod si haec instituta personalitate donentur, ita pro posse constituenda sunt ut iure civili, etiam internationali, recognosci possint»82.

Un terzo Consultore, tuttavia, sostenne che quel § 5 non fosse necessario, ma che piuttosto le parole «attentis legibus ecclesiasticis et civilibus», di cui al § 2, fossero da trasferirsi al § 4, il quale avrebbe dunque avuto la forma: «Fines de quibus in §§ 2 et 3 aptius obtineri possunt, attentis semper legibus ecclesiasticis et civilibus per instituta […]»83.

Altri due Consultori, tra i quali il redattore della formulazione originale del § 4, concordarono con l’espunzione delle parole «attentis […] civilibus» dal § 2, ma sostennero la necessità di un § 5, poiché si trattava dell’affermazione di un principio generale che aveva valore per tutti gli istituti o masse comuni84.

Il redattore della formulazione originale del § 4 propose dunque che – eliminate tali parole nel § 2 – si redigesse il § 5 così: «Haec instituta ita pro posse constituenda sunt ut iure civili quoque efficaciam habeant».

Tale proposta piacque a tutti, salvo ad un Consultore, che chiese di mettere agli atti la propria riserva85.

Un Consultore pensava che gli istituti o le masse comuni di cui si parlava nel canone avessero lo scopo di introdurre una maggiore giustizia in ambito diocesano e interdiocesano; domandava pertanto se fosse opportuno istituire un organo presso la Santa Sede destinato ad occuparsi di tale problematica tramite una cassa di compensazione.

Due Consultori risposero che la domanda aveva la sua rilevanza, ma a causa della delicatezza e della gravità dell’argomento, era questione da lasciare alla Santa Sede86.

A causa della mancanza di tempo, le quaestiones III e IV87 furono prese in considerazione in maniera molto veloce; tuttavia i Consultori furono d’accordo circa le seguenti conclusioni:

 

Non videtur opportunum aliquem indicem redigere ad indicandas institutiones quae assignatione bonorum patrimonialium stabilium egent ut recte constitui possint; nihil vetat quod in posterum quaedam officia ecclesiastica bona temporalia tamquam dotem retinere valeant, dummodo non amplius existet ille nexus per quem titularis officii fructus dotis suos faciat. Talis dos, si quae alicui officio assignata sit, bonis frugiferis consistere debet, non autem aliis fontibus de quibus in can. 1410 C.J.C.88.

 

Il testo del canone approvato, dunque, risultava il seguente:

 

§ 1. Advigilent Episcoporum Conferentiae, iuxta normas ab ipsis condendas, ut in singulis dioecesibus habeatur speciale institutum quod bona vel oblationes colligat eum in finem ut honestae necnon fundamentaliter aequali substentationi omnium clericorum, qui in populi Dei servitium munere funguntur, apte provideatur.

§ 2. In nationibus ubi praevidentia socialis in favorem cleri nondum apte ordinata est, curent Conferentiae Episcoporum pro suo cuiusque territorio ut habeantur instituta quibus, sub vigilantia Hierarchiae, securitati sociali clericorum satis provideatur.

§ 3. In singulis dioecesibus vel regionibus, modis ab Episcoporum Conferentiis definiendis, laicorum etiam opera adhibita, constituatur quantum fieri possit massa communis qua valeant Episcopi obligationibus erga alias personas Ecclesiae deservientes satisfacere variisque dioecesis necessitatibus occurrere, quaque etiam valeant dioeceses divitiores adiuvare pauperiores.

§ 4. Pro diversis locorum adiunctis, fines de quibus in §§ 2 et 3 aptius obtineri possunt per instituta dioecesana inter se foederata, vel per cooperationem aut etiam per convenientem consociationem pro variis dioecesibus, imo et pro toto territorio constitutam. Foveantur insuper relationes, quoties id expedire videatur inter huiusmodi instituta diversarum nationum ad eorum maiorem efficacitatem promovendam ac tuendam.

§ 5. Haec instituta ita pro posse constituenda sunt ut iure civili quoque efficaciam obtineant89.

 

Nell’ultima seduta della Sessione venne infine ripresa brevemente la quaestio I («an bona quae ad personas iuridicas seu canonicas privatas pertinent inter bona ecclesiastica computanda sint»), giungendo alla conclusione di metter ai voti i «dubia», poiché la problematica era già stata discussa ampiamente dai Consultori e non si voleva introdurre una nuova discussione90.

Si misero dunque ai voti le seguenti domande:

 

Utrum bona temporalia quae ad personas iuridicas seu canonicas privatas pertinent inter bona ecclesiastica sint computanda.

Quatenus affermative ad I, utrum eadem bona subicienda sint regimini communi bonorum ecclesiasticorum.

Quatenus negative ad II, utrum haberi debeat regimen speciale et proprium circa ea bona in iure canonico.

Quatenus affermative ad III, illud regimen speciale sit disponendum per modum exceptionum in legibus communibus, an potius per leges novas condendas in iure canonico.

 

L’esito del voto fu un «placet» unanime sulla prima questione, un «non placet» unanime sulla seconda, un «placet» unanime sulla terza. Riguardo alla quarta questione, sei Consultori espressero un «placet», due un «non placet», un Consultore si astenne.

La Sessione venne chiusa al termine della votazione91.

Durante la successiva Sessione VIII92 fu discusso anche il problema dell’ordinazione interna della materia relativa al diritto patrimoniale ecclesiastico. Se da un lato, infatti, alcuni Consultori desideravano che si discutesse dell’ordinazione sistematica solo dopo che tutti i canoni del diritto patrimoniale avessero avuto la loro recognitio c’era tuttavia chi pensava che fosse meglio discutere in fretta di tale argomento, perché sicuramente avrebbe generato nuove questioni alle quali dare risposta. Tale ultima proposta non piacque93.

Quattro mesi dopo, nella Sessione IX94, fu dunque essenzialmente discussa la disposizione sistematica interna dei canoni attinenti al diritto patrimoniale, secondo la seguente struttura95:

 

Tit. I: Canones praeliminares (cann. 1-9)

Tit. II: De subiecto dominii (cann. 10-14)96

Tit. III: De administratione bonorum (cann. 15-31)

Tit. IV: De acquisitione, de alienatione et speciatim de contractibus (cann. 32-42)

Tit. V: De piis voluntatibus in genere et de piis fundationibus (cann. 43-54).

 

Non vi sono ulteriori accenni alla nostra problematica in sede di discussione del gruppo di studio97, anche se, negli scritti dei Consultori, annessi alla Sessione, non mancarono utili osservazioni dalle quali emergeva la necessità di trattare anche dei benefici alla luce delle indicazioni conciliari98.

Quanto stabilito nelle Sessioni non venne più ritoccato99: ne abbiamo la riprova nello Schema canonum Libri V de iure patrimoniali Ecclesiae100, inviato alla consultazione il 15 novembre 1977. In esso venne conservato il medesimo ordine sistematico stabilito nella Sessio IX, con gli stessi titoli, ma – a causa dell’aggiunta di tre nuovi canoni – vi fu uno slittamento di alcuni: il canone relativo alle masse comuni, per esempio, passò dal numero 14 al 16101.

Questo canone, che è quello che a noi interessa, presenta solo alcune piccole varianti rispetto a quanto approvato nella Sessione VII102.

Sotto lo stesso titolo, de subiecto dominii, appariva un canone 17, definito novus, che così recitava:

 

In regionibus ubi beneficia proprie dicta adhuc existunt, Episcoporum Conferentiarum est, opportunis normis cum Apostolica Sede concordatis et ab ea approbatis, huiusmodi beneficiorum regimen moderari, ea tamen lege ut ratio officii omnino praevaleat et reditus immo ipsa dos beneficiorum ad institutum de quo in can. 16 § 1 (paulatim) conferantur103.

 

 

 

 

 

1 Ci è stato possibile accedere direttamente agli atti del gruppo di studio «De iure patrimoniali Ecclesiae» conservati presso gli archivi del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. La possibilità di accedere direttamente agli atti ci consente una puntuale analisi dell’evoluzione redazionale dei nostri canoni, ma ci pone anche alcuni problemi tecnici legati sia al fatto che non tutto il materiale è stato pubblicato in Communicationes, sia al fatto che i testi archiviati non sono stati numerati in modo univoco. Per la scientificità della nostra ricerca ci riferiremo ai testi originali confrontandoli con quanto pubblicato, visto che questo è comunque accessibile già a tutti. Mentre il problema della numerazione delle pagine viene da noi risolto attribuendo ai documenti una numerazione progressiva seguendo l’ordine con il quale sono stati archiviati. D’estremo interesse, sempre per la ricostruzione della storia redazionale dei canoni oggetto della nostra attenzione è: G. Corbellini, «Note», 477-507.

2 Facevano parte del coetus studiorum «De iure patrimoniali Ecclesiae»: i Rev.mi E. Crovella (relatore); N. Jubany; V. Wojcik; V. Fagiolo; L. McReavy; T. G. Barberena; G. Pasztor; F. McManus; A. Welykyj; U. Beste; D. Faltin, A. Stickler e i Sig.ri E. Isele; M. Petroncelli (cfr. Communicationes 1 [1969] 33-34). Nell’elenco pubblicato nel 1973 scomparivano: E. Crovella; N. Jubany; A. Welykyj; U. Beste; mentre venivano aggiunti il Rev. M. R. Lema e il Sig. W. Plöchl (cfr. Communicationes 5 [1973] 193).

3 «Documenta Concili Vaticani II praebere elementa aliqua omnino fundamentalia quae magnas consequentias habent in systema bonorum ecclesiasticorum in Ecclesia» (Pccicr, ADCS I, 28). Estremamente interessante, a questo proposito, il voto di un Consultore, il quale, agli inizi dei lavori del gruppo di studio, suggeriva di partire proprio dai testi conciliari per trarre delle indicazioni circa la revisione del Codice sulla materia dei beni temporali (cfr. Pccicr, ADCS I, 1-6). Communicationes riportò: «Sessio I: Diebus 23-27 ianuarii 1967. Quaestiones pertractatae: Quaestiones generales; De bonis acquirendis» (Communicationes 6 [1974] 215).

4 Pccicr, ADCS I, 29. Già alcuni consultori, nei loro vota avevano segnalato l’importanza del problema: si veda un Consultore: «Quanto all’abolizione del Beneficium o meno, noto soltanto questo: il Codex è basato sul sistema beneficiale […] i dettati del Concilio invece suppongono la “massa communis” e il beneficium difficilmente si adatta ai prescritti del Concilio […] Conservare il beneficio e rispettare il dettato del Concilio significa un lavoro legislativo tutt’altro che semplice e con il pericolo di congegnare una legge troppo complicata». Un altro Consultore preferiva assumere una posizione più interlocutoria: «Litteris Apostolicis “Ecclesiae Sanctae”, n. 8 monentur Episcopi ut provideant, suis auditis Consiliis presbyterorum aequae distributioni bonorum, cuius erit bona, ad sustentationem clericorum a fidelibus oblata, administrare atque erogare. Insuper massa communis erit constituenda in nonnullis dioecesibus et regionibus quae a Commissione […] erunt determinandae. Horum duorum institutorum natura et finis, necnon erectio et administratio a praeceptis novi codicis indicabuntur […] Beneficia quidem sunt reformanda […] sed eadem certe erunt obiectum alicuius tituli in novo Codice; titulus qui, ut videtur, omnia ad sustentationem clericorum pertinentia continebit atque praecipiet» (Pccicr, ADCS I, 14). Un terzo Consultore, dopo un’attenta disamina delle indicazioni conciliari, giungeva a queste conclusioni: «Patet igitur ex Concilii statutis principiis honestam cleri sustentationem inveniri debet per formulam diversam ab actuali […] Ius canonicum constitutivum suum characterem beneficialem classicum derelinquere nunc debet […] Titulus primarius canonicus pro sacra ordinatione debet esse servitium dioecesis, non autem beneficium, patrimonium aut pensio. Normae accuratae conficiendae sunt de aequa remuneratione omnibus clericis tribuenda, sublato principio de officiis beneficialibus et non beneficialibus […] Normae sunt conficiendae, iuxta modos aptos pro unaquaque regione, pro congrua cleri adsistentia sanitaria et ipsius pensione tempore quo senectute vel invaliditatis causa officio ecclesiastico fungi nequeat» (Pccicr, ADCS I, 23-24).

5 «Si systema beneficiale relinquatur, ad aliquod aliud systema recurrendum est […]. Res autem non caret difficultatibus sat gravibus, quia sive in hypothesi totalis abolitionis systematis beneficialis, sive in hypotesi reformationis […] manet quaestio de dote […]. Sed est alia quaestio quae maiorem difficultatem facere videtur. Concilium dicit officium esse “quodlibet munus stabiliter collatum in finem spiritualem exercendum”. Notandum illud “stabiliter collatum” non esse idem ac “stabiliter constitutum”» (Pccicr, ADCS I, 30).

6Pccicr, ADCS I, 30.

7Pccicr, ADCS I, 31.

8 Cfr. Pccicr, ADCS I, 31-32.

9Pccicr, ADCS I, 34.

10 Cfr. Pccicr, ADCS I, 34.

11 «In ipsa Hispania non amplius extare beneficia cum dotibus propriis nisi paucissima; cetera cum pensionibus a Gubernio civili traditis». «Circa beneficia in Italia exsistentia Ill.mus […] notat ipsorum bona patrimonialia generatim esse omnino exigua, si ista vel illa dioecesis excipiatur […]» (Pccicr, ADCS I, 34).

12 Cfr. Pccicr, ADCS I, 34.

13Pccicr, ADCS I, 35.

14Pccicr, ADCS I, 35.

15 Cfr. Pccicr, ADCS I, 35.

16 Pccicr, ADCS I, 36-37.

17 Communicationes riportò: «Sessio II: Diebus 5-10 iunii 1967. Quaestiones pertractatae: De bonis acquirendis; De causis piis; De piis functionibus» (Communicationes 6 [1974] 215).

18 Cfr. Pccicr, ADCS I, 99-139. In particolare, il Consultore, divise il suo intervento in quattro sezioni: I. De iure Clericorum ad honestam sustentationem, II. De subiectis obligationum, III. De spiritu paupertatis presbyterorum, IV. De recto usu bonorum.

19 Cfr. Pccicr, ADCS I, 99-109.

20 Cfr. Pccicr, ADCS I, 109-116.

21Pccicr, ADCS I, 144-145.

22Communicationes riportò: «Sessio III: Diebus 20-24 novembris 1967. Quaestiones pertractatae: De piis fundationibus; De boniis Ecclesiae administrandis» (Communicationes 6 [1974] 215).

23 Basterebbe, in proposito, vedere i vota dei Consultori: cfr. Pccicr, ADCS I, 192-251.

24 Cfr. Pccicr, ADCS I, 279.

25 Cfr. ES, I, n. 4.

26 Cfr. Pccicr, ADCS I, 279-281.

27 Cfr. Pccicr, ADCS I, 281.

28 Cfr. Pccicr, ADCS I, 281.

29 Pccicr, ADCS I, 282.

30Pccicr, ADCS I, 283.

31 Cfr. Pccicr, ADCS I, 283.

32 Cfr. Pccicr, ADCS I, 283-284.

33 Il canone X, ancora da redigere, si sarebbe occupato di specificare «quomodo et ad quem finem illa bona coalescunt» (cfr. Pccicr, ADCS I, 284).

34 Cfr. Pccicr, ADCS I, 284.

35 Cfr. Pccicr, ADCS I, 285.

36 Cfr. Pccicr, ADCS I, 285.

37 Cfr. Pccicr, ADCS I, 285.

38 Cfr. Pccicr, ADCS I, 300-301.

39 La Sessio IV si tenne dal 19 al 24 febbraio 1968, ed ebbe all’ordine del giorno i seguenti quesiti: «1. An placeant formulae canonum 1518, 1519, 1519 bis, 1520, 1521, 1521 bis, 1522, 1523 a Relatore iuxta placita Consultorum in Sessione praecedenti expressa, redactae. 2. De can. 1524 an placeat formula a Consultore redacta. 3. De reconoscendis canonibus 1525-1534» (cfr. Pccicr, ADCS II, 80-132).Communicationes riportò: «Sessio IV: Diebus 19-24 februarii 1968. Quaestiones pertractatae: De bonis Ecclesiae administrandis» (Communicationes 6 [1974] 216).

40 Cfr. Pccicr, ADCS II, 83: «[Consultor] proponit ut canon iste fiat can. 1519 et can. 1519 fiat can. 1519 bis».

41 La V Sessione si tenne tra il 13 e 17 maggio 1968 e le quaestiones proposte dalla Commissione furono: «an normae par. 2, can. 1523, iam probatae in praecedenti sessione, remittendae sint iuribus particularibus, iuxta propositionem factam a Consultore. 2. De par. 3 (olim 2) can. 1527. 3. De inscriptione tituli et de structura huius partis Codicis de bonis administrandis et de contractibus. 4. De recognitione canonum 1529-1534 CIC» (cfr. Pccicr, ADCS II, 163-207). Communicationes riportò: «Sessio V: Diebus 13-17 maii 1968. Quaestiones pertractatae: De bonis Ecclesiae administrandis; De contractibus» (Communicationes 6 [1974] 216).

42 Cfr. Pccicr, ADCS II, 166.

43 La Sessione VI si tenne dal 20 al 25 gennaio 1969, ed ebbe all’ordine del giorno le seguenti quaestiones: «1. De recognitione cann. 1535-1543. 2. De ordine systematico omnium canonum. 3. An lacunae adsint quas Consultores explendas censeant» (Cfr. Pccicr, ADCS II, 271-301). Communicationes riportò: «Sessio VI: Diebus 20-25 ianuarii 1969. Quaestiones pertractatae: De contractibus; De patrimoniis communibus ad variis necessitatibus providendum: an et quomodo constituenda et administranda sint» (Communicationes 6 [1974] 216).

44 Pccicr, ADCS II, 297-298.

45 Cfr. Pccicr, ADCS II, 298.

46 Cfr. Pccicr, ADCS II, 298.

47Pccicr, ADCS II, 298-299.

48 Cfr. Pccicr, ADCS II, 299.

49 Cfr. la Relatio de votis consultorum del 20 maggio 1969 in preparazione alla settima sessione del gruppo di studio in Pccicr, ADCS II, 302-329.

50 Cfr. Pccicr, ADCS II, 400-439.

51 Egli così diceva: «quaestionem massarum bonorum considerandam esse sub luce alterius quaestionis de suppressione beneficiorum. Cum beneficia deficiant vel supprimantur alia media constituenda sunt pro sustentatione cleri et pro aliis necessitatibus. Jam vero ad normam decreti «Presbyterorum Ordinis» (nn. 20-21) et M.P. «Ecclesiae Sanctae» (I/4, 5, 8) sequentes massae bonorum in iure patrimoniali Ecclesiae moderno definiendae sunt: a) Massa bonorum communis pro cleri sustentatione, b) Massa bonorum communis pro praevidentia sociali ecclesiasticorum, c) Massa bonorum communis generalis ad alias necessitates satisfaciendas, nempe: 1. remuneratio personarum laicarum Ecclesiae deservientium, 2. acquisitio, restauratio, etc., rerum mobilium et immobilium et sustentatio operum caritatis et apostolatus, 3. subsidia aliis dioecesibus pauperibus elargienda. Massae, de quibus sub b) et c) possunt etiam superdioecesanae, quin immo nationales et supernationales esse. Cum in re patrimoniali multa iuri particulari reliqui debeant, in Codice Iuris Canonici quaedam tantum normae generales condantur, quae ubique applicandae et omnibus exemplo sint» (Pccicr, ADCS II, 419-420).

52 «[…] vellet obligationem taxativam statuere ut massae ubique constituantur» (Pccicr, ADCS II, 420).

53 Cfr. Pccicr, ADCS II, 420-421.

54 Cfr. Pccicr, ADCS II, 421.

55 Cfr. Pccicr, ADCS II, 421.

56Pccicr, ADCS II, 421.

57 Cfr. Pccicr, ADCS II, 421-422.

58 Cfr. Pccicr, ADCS II, 422.

59 Cfr. Pccicr, ADCS II, 422.

60Pccicr, ADCS II, 423.

61Pccicr, ADCS II, 423.

62 Cfr. Pccicr, ADCS II, 424.

63 Cfr. Pccicr, ADCS II, 424.

64Pccicr, ADCS II, 424.

65 Cfr. Pccicr, ADCS II, 424.

66 Cfr. Pccicr, ADCS II, 424-425.

67Pccicr, ADCS II, 426.

68 Cfr. Pccicr, ADCS II, 426-428.

69 Cfr. Pccicr, ADCS II, 426-427.

70 Cfr. Pccicr, ADCS II, 427.

71 Cfr. Pccicr, ADCS II, 427.

72 Cfr. Pccicr, ADCS II, 427.

73 Cfr. Pccicr, ADCS II, 427-428.

74Pccicr, ADCS II, 429.

75 Cfr. Pccicr, ADCS II, 429.

76Pccicr, ADCS II, 430.

77 «Formam impersonalem praeferendam esse quia quandoque aliqui vel complures Episcopi possunt foederationem inter se promovere si non adhuc extent instituta pro tota natione» (Pccicr, ADCS II, 430).

78Pccicr, ADCS II, 430.

79 Cfr. Pccicr, ADCS II, 430-431.

80 Cfr. Pccicr, ADCS II, 431.

81 Cfr. Pccicr, ADCS II, 432.

82 Cfr. Pccicr, ADCS II, 432.

83 Cfr. Pccicr, ADCS II, 432.

84 Cfr. Pccicr, ADCS II, 432.

85 Cfr. Pccicr, ADCS II, 432-433. Questo Consultore fece inserire negli atti la seguente nota: «Suffragium negativum dedi pro admittendo textu § 5ae quia censui illa verba non esse necessaria. Attenta convenienti potestate Conferentiarum – de qua in §§ 1, 2, 3 – sufficiens erat dicere “attentis legibus ecclesiasticis et civilibus” in § 4, quia implicite quaestio solutionem inveniebat. Suffragium positivum dedi pro inserendo textu § 5 in § 4 quia censui possibilem recognitionem civilem convenientem esse pro casibus §§ 2 et 3, non autem pro § 1, nam in hac paragrapho agitur de re omnino interna Ecclesiae. Si recognitio civilis, in casu extraordinario, necessaria fuerit, conferentia Episcopalis providebit, quia ipsi obligatio est “advigilandi”, scilicet “curandi” pro ut dicitur in § 1».

86 Cfr. Pccicr, ADCS II, 433-434.

87 Ossia: «Quaenam sunt institutiones ecclesiasticae quae assignatione bonorum patrimonialium stabilium egent ut recte constitui possint» e «an quaedam officia ecclesiastica bona temporalia, tamquam dotem, in posterum retinere valeant».

88Pccicr, ADCS II, 434-435.

89Pccicr, ADCS II, 438-439.

90 Cfr. Pccicr, ADCS II, 436.

91 Cfr. Pccicr, ADCS II, 436-437.

92 La Sessio VIII si tenne dal 15 al 19 dicembre 1969, ed ebbe all’ordine del giorno le seguenti quaestiones: «De regimine bonorum quae ad personas canonicas privatas pertinent. 2. De aliis canonibus transferendis in partem de iure patrimoniali Ecclesiae. 3. De ordinatione totius argumenti in libro de iure patrimoniali Ecclesiae». Communicationes riportò: «Sessio VIII: Diebus 15-19 decembris 1969. Quaestiones pertractatae: De regimine bonorum quae ad personas canonicas privatas pertinent; De aliis canonibus transferendis in partem de iure patrimoniali Ecclesiae; De ordinatione totius argumenti in parte de iure patrimoniali Ecclesiae» (Communicationes 6 [1974] 216).

93 Cfr. Pccicr, ADCS II, 480. Annesso ai verbali di tale sessione troviamo, sotto il titolo «de massis in dioecesibus constituendis», cinque paragrafi sostanzialmente uguali al testo elaborato durante la Sessione VII (cfr. Pccicr, ADCS II, 502-503).

94 La Sessio IX si svolse dal 20 al 22 aprile 1970 ed ebbe come questione all’ordine del giorno: «De ordinatione systematica omnium canonum» (Pccicr, ADCS II, 527-528). Communicationes riportò: «Sessio IX: Diebus 20-22 aprilis 1970. Quaestiones pertractatae: De nova dispositione systematica totius materiae de iure patrimoniali Ecclesiae» (Communicationes 6 [1974] 216).

95 Seguiamo qui la comoda e razionale schematizzazione proposta da Corbellini, il quale ne spiega così l’origine: «Il prospetto è ricavato dalle pp. 14-33 della Relazione della Sessio IX» (corrispondenti, secondo la numerazione da noi adottata a: Pccicr, ADCS II, 540-559) (cfr. G. Corbellini, «Note», 501).

96 Il futuro canone 1274 è collocato in questa sezione, al numero 14. Non vi fu alcun riferimento ad esso durante la discussione dei Consultori, fatto salvo l’intervento di un Consultore che proponeva di sopprimere l’intero Titolo III per motivazioni che, in ogni caso, non avevano attinenza con il nostro canone (cfr. Pccicr, ADCS II, 534-535). Infine: «Deficiente itaque materia sufficienti, cadere videtur, concludit […], ratio tituli distincti «de obiecto dominii». Quoad unicum canonem qui manet, scil. de massis in dioecesibus constituendis, non improprie sub titulo “de subiecto dominii” appendi potest, ita ut fiat can. 14». Il risultato fu che «post aliquam brevem discussionem, omnes Consultores approbant» quanto proposto dal suddetto Consultore (cfr. Pccicr, ADCS II, 535).

97 Nello schema dei canoni, allegato alla Sessione IX, troviamo il canone 14, sotto il titolo II, De subiecto dominii, che ripete fedelmente, in cinque paragrafi, quanto già visto nella sessione VII (cfr. Pccicr, ADCS II, 543-544). Communicationes aveva riportato: «Sessio VII: Diebus 26-31 maii 1969. Quaestiones pertractatae: Quaestiones patrimoniales derivantes e novis institutis a Concilio Vaticano II in disciplinam Ecclesiae inductis» (Communicationes 6 [1974] 216)

98 Si veda, per esempio, il parere di un Consultore: «Ob graves rationes mihi videtur aliqua dici debere etiam de aliis rebus […] a) de beneficiis (Can. 1409-1488), praesertim cum Decretum “Presbyterorum Ordinis” Concilii Vaticani II decreverit systema beneficiale reformari debere (cfr. n. 20)» (Pccicr, ADCS II, 575). Un altro Consultore così scriveva: «De beneficiis. Can. 1427. Hic canon deberet supprimi, eo quod beneficia in posterum erigi meo iudicio non debent. Si vero sustineatur, deberet collocari inter canones de piis fundationibus. Can. 1476-1483. Post Concilium Vat. II hi canones egent acerrima crisi et recognitione. Si aliquid ex eis supersit, ponendum videtur inter canones recognitos de administratione bonorum» (Pccicr, ADCS II, 584).

99 Nella sintesi dei lavori del gruppo di studio pubblicata su Communicationes nel 1973 vi erano le seguenti osservazioni di un qualche interesse per la nostra ricerca: al punto 14 del Titolo II, de subiecto dominii: «Hoc loco visum est inserere novum circa massas bonorum communes canonem, qui iuxta normas iam editas in M. P. Ecclesiae Sanctae, I, 4, 5, 8, redactus est, quique moderatur tres massarum communium species ibidem memoratas, vid.: pro cleri sustentatione, pro praevidentia sociali ecclesiasticorum, pro aliis Ecclesiae necessitatibus. In hac autem materia, iuxta plures Consultores, normae nimis cogentes vitentur oportet, determinationibus particularibus iuri particulari demandatis». Al titolo III, de administratione bonorum, al punto 16: «Bona ecclesiastica quae ex pluribus dioecesibus coalescunt (cfr. supra, n. 14), secundum normas a Conferentia Episcopalis legitime statutas administranda sunt» (cfr . Communicationes 5 [1973] 96-97).

100Pccicr,Schema canonum Libri V de iure patrimoniali Ecclesiae (Reservatum), Typis Polyglottis Vaticanis 1977. D’ora in avanti citato sempre Schema/77.

101 Il nuovo prospetto risultava essere: Titolo I, canones praeliminares, canoni 1-12; Titolo II, de subiecto Dominii, canoni 13-17; Titolo III, de administratione bonorum, canoni 18-34; Titolo IV, de acquisitione, de alienatione et speciatim de contractibus, canoni 35-44; Titolo V, de piis voluntatibus in genere et de piis fundationibus, canoni 45-57.

102 «Can. 16 (novus; Ecclesiae Sanctae, 8) § 1. Advigilent Episcoporum Conferentiae, iuxta normas ab ipsis condendas, ut in singulis dioecesibus habeatur speciale institutum quod bona vel oblationes colligat eum in finem ut honestae necnon fundamentaliter aequali substentationi omnium clericorum, qui in populi Dei servitium munere funguntur, apte provideatur.

§ 2. In nationibus ubi praevidentia socialis in favorem cleri nondum apte ordinata est, curent Conferentiae Episcoporum pro suo cuiusque territorio ut habeantur instituta quibus, sub vigilantia Hierarchiae, securitati sociali clericorum satis provideatur.

§ 3. In singulis dioecesibus vel regionibus, modis ab Episcoporum Conferentiis definiendis, laicorum etiam opera adhibita, constituatur quantum fieri possit massa communis qua valeant Episcopi obligationibus erga alias personas Ecclesiae deservientes satisfacere variisque dioecesis necessitatibus occurrere, quaque etiam possint dioeceses divitiores pauperioribus subvenire.

§ 4. Pro diversis locorum adiunctis, fines de quibus in §§ 2 et 3 aptius obtineri possunt per instituta dioecesana inter se foederata, vel per cooperationem aut etiam per convenientem consociationem pro variis dioecesibus, imo et pro toto territorio constitutam. Foveantur insuper relationes, quoties id expedire videatur inter huiusmodi instituta diversarum nationum ad eorum maiorem efficacitatem promovendam ac tuendam.

§ 5. Haec instituta ita, si fieri possit, constituenda sunt ut efficaciam quoque in iure civili obtineant [Le variazioni rispetto al testo della VII sessione sono segnate in corsivo]» (cfr. Pccicr, Schema/77, 11-12).

103 Pccicr, Schema/77, 12. Osserva Corbellini «mai, infatti, pur essendosi accennato varie volte al problema dei benefici […] era stato elaborato un canone relativo». Egli ipotizza una redazione del testo in questione da parte del Segretario, che chiese anche il parere di un Consultore, secondo quanto contenuto in una lettera datata 8 dicembre 1976 del Consultore stesso. «Il canone [prosegue Corbellini] che avrebbe dovuto essere il n. 15 dello Schema del Libro V – ha nella suddetta lettera questa formulazione: “In regionibus ubi beneficia proprie dicta adhuc existunt, Episcoporum Conferentiarum est, opportunis normis cum Apostolica Sede concordatis et ab ea approbatis, huiusmodi beneficiorum regimen moderari, ea tamen lege ut ratio officii omnino praevaleat et reditus imo ipsa dos beneficiorum paulatim ad massam bonorum conferantur, de qua in can. 14 § 1”». Come si vede, esso fu ripreso, con qualche lieve modifica, nel testo a stampa dello Schema/1977: cfr. G. Corbellini, «Note», 506.

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